venerdì 18 novembre 2011

L'Italia del volley e le sue sorelle: quando lo sport regala un campione per caso


La stupenda cavalcata della nazionale di volley azzurra che, ripescata grazie a una wild card dopo la bocciatura dell’Europeo, è riuscita prima ad assicurarsi il pass per le Olimpiadi di Londra e poi a conquistare la World Cup, ci ricorda da vicino quanto possa essere bello lo sport, una delle poche attività umane in cui si può diventare campioni per caso. L’Italvolley aveva perso il diritto a tentare la qualificazione olimpica disputando una pessima rassegna continentale in casa propria. Un vero e proprio fallimento che aveva scosso dalle fondamenta il movimento. Meno di due mesi e il mondo si è capovolto. L’Italia che aveva perso contro Turchia (due volte) e Germania ha battuto tutti tranne gli Stati Uniti e sollevato il trofeo che per la pallavolo femminile è secondo come valore solo a Olimpiadi e mondiali.

Una storia che rimanda all’incredibile parabola della Danimarca campione d’Europa nel calcio. Era il 1992 e i danesi non si erano qualificati per la fase finale in Svezia. Erano già in vacanza quando l’Uefa decise di ripescarli per sostituire la Jugoslavia, dilaniata dal conflitto tra etnie ed esclusa per questioni politiche. Una chiamata a sorpresa tanto che il ct Moller-Nielsen dovette richiamare uno a uno i suoi ricevendo anche il rifiuto di Laudrup, il più famoso di tutti. Il resto è noto: inizio stentato, vittoria contro la Francia, semifinale ai rigori sull’Olanda e trionfo contro la Germania.

O, ancora, il successo senza precedenti di Goran Ivanisevic a Wimbledon nel 2001. Il croato non avrebbe nemmeno dovuto partecipare. Dopo una brillante carriera era precipitato al 125° posto della classifica mondiale ed era vicino al ritiro. Una settimana prima, sull’erba, era stato battuto addirittura dall’azzurro Caratti. Gli fu concessa una wild card. I bookmaker lo quotavano 150 a uno. Sconfisse uno dopo l’altro Roddick, Safin, Henman e Rafter che in classifica stavano nella top ten. Nella sua prima vita aveva perso tre volte in finale sul centrale di Wimbledon. Dopo quel trionfo fu accolto a Zagabria da 150mila persone in festa. Non vinse più nessun torneo.

Il grande libro delle Olimpiadi racconta la rimonta storica di Tony Sailer nello slalom di Cortina 1956. L’austriaco aveva già conquistato la medaglia d’oro in discesa e gigante, ma il giorno dello slalom si era addormentato arrivando in pista a gara iniziata. Contro ogni regolamento gli fu concesso di scendere con il pettorale numero 135 senza fare ricognizione; si buttò e distanziò di 4 secondi il giapponese Igaya che già festeggiava in albergo. A carriera finita Sailer si diede al cinema.

A Salt Lake City nel 2002 il mondo si commosse per la storia di Steven Bradbury, medaglia d’oro nei 1000 mt dello short track. Eliminato nei quarti di finale, approfittò della squalifica di un avversario. In semifinale se la cavò grazie alla caduta dei primi tre e in finale arrivò praticamente da solo sul traguardo perché nell’ultimo giro gli altri si eliminarono da soli finendo sul ghiaccio. Lui, che ormai era staccato e rassegnato, festeggiò incredulo e in Australia gli dedicarono un francobollo e un detto “doing a Bradbury” (fare una bradburata) che indica il più insperato dei successi.

Ultimo campione per caso il rugbista neozelandese Stephen Donald. Era a pesca mentre Dan Carter e Colin Slade, i due All Blacks titolari, si facevano male uno dopo l’altro alla vigilia della Coppa del Mondo disputata in casa. Stephen era uscito dal giro della nazionale da tempo, fatto fuori dal ct. Richiamato all’ultimo istante aveva risposto al cellulare solo perché pregato dai compagni di squadra. Aggregato al gruppo ma senza mai vedere il campo fino alla finale contro la Francia e all’infortunio di Aaron Cruden, il terzo nella gerarchia degli All Blacks. Non potendo farne a meno fu spedito in campo in tempo per firmare con un calcio piazzato l’8-7 finale. Paese in delirio e per lui un futuro da eroe. L’uomo che invece di pescare bianchetti era stato capace di scrivere la storia del rugby neozelandese.

Giovanni Capuano

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