giovedì 24 novembre 2011

La favola dell'Apoel e la Champions delle piccole che piace a Platini


La qualificazione dell’Apoel Nicosia agli ottavi di finale della Champions League, la prima volta di una squadra cipriota tra le prime sedici d’Europa, è una storia che merita di essere raccontata. A raggiungere un traguardo che sino a un paio di anni fa era impossibile anche solo sognare è, infatti, il piccolo Barcellona di Cipro. Non solo una squadra di calcio, ma una vera e propria polisportiva, orgoglio della popolazione greco-cipriota della capitale spaccata in due dalla difficile convivenza con l’etnia turca. Così la sognarono e la vollero i soci fondatori che la fecero nascere in una sera d’inverno del 1926 nel retro di una pasticceria del centro e così è stata lungo tutta la sua storia.

L’Apoel è più che un club, dunque. E’ una questione di fede e di identità etnica, un gioiello cullato nel clima rovente di uno stadio che presenta quasi sempre il tutto esaurito ed offre ai suoi un sostegno incondizionato. Se ne sono accorte Zenit e Porto, sconfitte entrambe nel girone. A Nicosia non si passa e conta poco che l’anima dell’Apoel sia più brasiliana e portoghese che cipriota. Sono brasiliani gli attaccanti Ailton e Manduca (insieme 5 dei 6 gol realizzati dall’Apoel), portoghesi Pinto e Morais, anime del centrocampo, e Paulo Jorge, pilastro difensivo. Poi c’è il portiere belga, eroe a San Pietroburgo, un paio di greci, un macedone, turchi, bosniaci e olandesi. Un mix cucinato in panchina da Jovanovic, tecnico serbo senza pedigree ma che sta facendo la storia del club.


L’Apoel nelle sedici bellissime d’Europa è, però, anche la vittoria di Michel Platini. Questa edizione della Champions segnerà un record: il più alto numero di squadre non appartenenti all’elite del calcio europeo (Spagna, Inghilterra, Germania, Italia e Francia) capaci di superare l’ostacolo dei gironi eliminatori. Apoel e Benfica ci sono già. All’Ajax manca solo l’ufficialità aritmetica mentre nel girone G un posto è riservato al ballottaggio tra Porto e Zenit. In corsa con buone possibilità di qualificazione ci sono anche Trabzonspor e Cska Mosca (girone B), Basilea (girone C) e Olympiakos (girone F). Un caso? No. E’ l’effetto della riforma di Platini che dall’estate del 2009 ha rivoluzionato i criteri d’accesso alla Champions privilegiando i campionati emergenti e rendendo più difficile la vita alle terze e quarte di Serie A, Premier, Liga e Bundesliga. Avete presente l’Udinese costretta a sfidare l’Arsenal mentre Bate, Genk e Apoel ottenevano il pass facendo fuori austriaci, polacchi e israeliani? Ecco, dopo due stagioni gli effetti cominciano a vedersi. 

Prima di oggi l’accesso alla fase ad eliminazione diretta era quasi precluso per le piccole: solo due volte (nel 2005/2006 e nel 2007/2008) ci erano riuscite in quattro ma a pesare era il momento magico di Porto, l’ultima non big ad alzare la coppa nel 2004, e Psv. Per gli altri solo le briciole. Che la Coppa dei Campioni non sia un torneo per debuttanti lo dimostra del resto anche l’albo d’oro. Porto escluso, per trovare una vincente non di lusso bisogna tornare all’Ajax del 1995 o alla fine degli anni Ottanta con il filotto di Steaua Bucarest (1986), Porto (1987), Psv (1988) e Stella Rossa (1991). Era un calcio senza inglesi, buttate fuori dopo la tragedia dell’Heysel e riammesse solo nel 1990 dopo un lustro di confino.


L’altra faccia della medaglia del sogno dell’Apoel e dei record dell’altra Europa è, invece, la crisi dei club di Premier. A novanta minuti dalla fine dei gironi solo l’Arsenal ha guadagnato la qualificazione. Il Chelsea si è suicidato con le sue mani a Leverkusen e dovrà battere il Valencia per non uscire. Il Manchester United è atteso a una sfida senza appelli, ma con due risultati su tre a disposizione, a Basilea. Il City deve sperare in uno scivolone del Napoli in Spagna. Alla fine potrebbero anche salvarsi, ma le loro difficoltà rappresentano un’anomalia per un movimento che dal 2006 ad oggi per ben tre volte è stato capace di portare in semifinale tre squadre su quattro.

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2 commenti:

  1. concordo come criterio e concetto generale ma perchè considerare "piccole" Porto, Ajax e Benfica?

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  2. Il criterio è stato prendere i campionati-guida d'Europa (Liga, Premier, Serie A, Bundesliga e Ligue1) che dal 2003/2004 e cioè da quando è in vigore l'attuale formula della Champions con girone+ottavi+quarti+semifinali+finale hanno prodotto 104 delle 128 squadre approdate oltre la barriera del girone eliminatorio.

    Gli altri ci sono entrati a tratti. C'è stato il momento delle olandesi che poi sono sparite (ultima qualificazione nel 2006/2007), quello delle scozzesi (stessa stagione) e quello delle greche (mai prima del 2008/2009). Insomma nel bacino delle 'piccole' ho messo tutte le squadre espressione di campionati che statisticamente sono stati incapaci nell'ultimo decennio di produrre con continuità club ai vertici europei. Del resto la riforma di Platini non mirava solo a portare in campo est Europa e nuove realtà, ma anche ad accorciare il gap tra i ricchissimi e la classe media.

    Saluti

    GC

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