mercoledì 23 novembre 2011

La sfida di Ibra contro Guardiola e i vecchi fantasmi



Fanno presto a dire che non è la sfida di un uomo contro tutti. Ci ha provato Ibra per primo addolcendo nel miele (“Il Barcellona è il miglior club al mondo”) il veleno iniettato con la sua autobiografia. Ci ha provato Guardiola con la solita signorilità e anche Allegri evocando il Valium per placare lo svedese. E ci hanno provato i vecchi compagni prima di salire sull'aereo che li ha portati a Milano. Tutto inutile. Milan-Barca è prima di tutto la sfida di un uomo, Ibrahimovic, al suo passato e ai fantasmi che lo popolano. L'incontro tra un grande campione forse incompiuto e quello che doveva essere il suo treno per la gloria. Un treno abbandonato in fretta.

Lo svedese è rimasto in Catalogna poco più di un anno: 46 presenze, 22 gol, un contributo soprattutto nella Liga dove, però, Guardiola lo schiera da titolare all'inizio (17 volte su 19 nel girone d'andata) e poi piano piano lo marginalizza (12 presenze di cui 7 dalla panchina nel ritorno). Tra i due il rapporto non decolla. Ibra litiga con Messi per un rigore non tirato contro il Maiorca, minaccia di strozzare il preparatore atletico che gli vuole negare il debutto contro il Real per infortunio, si fa male sulla neve durante le vacanze e lo tiene nascosto al club presentandosi agli allenamenti con una cuffia in testa, entra in rotta di collisione tutte le volte che gli viene prospettata la panchina, simula infortuni pur di non finire riserva. Fino agli insulti post-semifinale contro l'Inter (“Ti caghi addosso davanti a Mourinho”), ai gelidi silenzii e alla tumultuosa trattativa per scappare a Milano durante la quale lui minaccia di arrivare alle mani con Guardiola e il club preferisce mettere a bilancio una minusvalenza da record pur di liberarsi del problema.

A Barcellona, come prima in passato, fallisce soprattutto negli appuntamenti di Champions. Segna un gol contro il Rubin Kazan ma il Barca perde. Segna contro lo Stoccarda agli ottavi e finisce 1-1. E' decisivo solo nei quarti contro l'Arsenal (doppietta a Londra) ma nella semifinale contro l'Inter sparisce: due volte in campo e due volte sostituito. Una costante della sua carriera. Ad Appiano ancora ricordano la furia di Moratti negli spogliatoi di Manchester dopo l'eliminazione nel marzo 2009 con Ibra che sbaglia un gol a un metro dalla porta. O il diagonale finito fuori nel ritorno contro il Liverpool di un anno prima e il digiuno totale nel 2006/2007 con harakiri a Villarreal. E anche in bianconero non era andata meglio: 19 presenze e la miseria di 3 gol in due campagne europee, nessun acuto contro Arsenal e Liverpool nelle notti che contavano. Tutto identico al nulla nei 180 minuti del naufragio rossonero contro il Tottenham un anno fa.

A fare bene i conti quella di Ibra contro il Barcellona assomiglia tanto alla puntata di un giocatore su un tavolo verde che l'ha visto sempre perdente. A trent'anni compiuti il sospetto si è trasformato in certezza. Se la fuoriserie del gol nei campionati vinti in sequenza diventa un'utilitaria in Europa un motivo ci deve essere. In Champions Ibrahimovic ha collezionato 81 presenze e 26 reti (una ogni 250'). Nelle partite ufficiali della sua nazionale ha fatto anche peggio (11 gol in 36 tentativi, uno ogni 261 minuti). Medie lontane da quelle toccate in serie A (un gol ogni 153'), Liga spagnola (127') e campionato olandese (136'). Il primo Ibrahimovic si consumava nell'inseguimento alla gloria europea. L'ultimo è arrivato  dire che vincerla o meno “non aggiungerà nulla alla sua carriera”. Una bugia? Probabile. Pagherebbe di tasca sua per scrivere un finale diverso alla sua parabola professionale. Il tempo, però, comincia a mancare. Contro il Barca serve una svolta. Nella notte più difficile, con davanti il suo passato, i fantasmi che lo popolano e difronte a Guardiola, che poteva diventare l'allenatore della consacrazione e, invece, si è trasformato in un capitolo di un libro pieno di livore e rimpianti.

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