giovedì 28 luglio 2011

I debiti del Barcellona e Guardiola allenatore non aziendalista


Straordinario nel disegnare sul campo la squadra più forte del mondo, Pep Guardiola non merita certo la definizione di allenatore aziendalista. Anzi, le sue scelte tecniche sono alla base della difficoltà del Barcellona nell'uscire dalle difficoltà finanziarie che un anno fa erano state definite “un problema strutturale” da Javier Faunas, vicepresidente economico del club che – parole del direttivo – aveva raggiunto “l'eccellenza sportiva ma non quella finanziaria”. Era l'estate del 2010 e, uscita dalla guerra tra l'ex presidente Laporta e il successore Rosell, il Barca scopriva di avere i conti in profondo rosso tanto da dover chiedere un prestito alle banche per pagare gli stipendi di tecnici e giocatori che da soli pesano per oltre 235 milioni di euro.

A un anno di distanza il bilancio del club catalano rimane in rosso (-9,3 milioni di euro) e la relazione dei contabili del Camp Nou indica con chiarezza che la responsabilità è da ascrivere alle scelte di mercato costate minusvalenze e svalutazioni per oltre 45 milioni di euro solo per le cessioni di Ibrahimovic, Chygrynskiy, Martin Caceres e Buss. Acquisti (e cessioni) fortemente voluti e bruciati da Pep che in tre estati e mezzo ha speso quasi 300 milioni di euro sul mercato e che solo dodici mesi prima aveva costretto Laporta (cui ora i soci del club chiedono con una class action che restituisca 46 milioni e mezzo) a un altro 'bagno di sangue' per liberarsi di Eto'o, considerato non funzionale al suo progetto.

Senza quelle operazioni – scrivono i contabili del Barca – il bilancio si sarebbe chiuso addirittura in positivo (+33 milioni di euro prima delle imposte) grazie soprattutto alla moltiplicazione degli introiti derivanti dalla partecipazione alla Champions League che hanno ampiamente coperto il salasso dei premi girati a Messi e compagni per le vittorie in Spagna ed Europa.

I conti blaugrana, insomma, continuano a tornare solo sul campo. Fuori funzionano molto meno come testimonia il debito che rimane monstre (363 milioni di euro) malgrado in un anno sia calato di oltre il 15% grazie a un'accorta politica di accantonamenti. Eppure Rosell ha appena regalato Alexis Sanchez (37,5 milioni di euro) a Pep che ora chiede con forza Fabregas o, in alternativa, un'altra punta e un difensore centrale. Il bilancio economico non è evidentemente un suo problema. La cattiva notizia è che i 473 milioni di euro di ricavi consentono al Barcellona di proseguire con questa politica di consolidamento della leadership europea e il tanto sbandierato fair play finanziario invece di ridurre il gap con le italiane continuerà ad ampliarlo.

Giovanni Capuano

mercoledì 27 luglio 2011

La memoria di Facchetti e le diversità di vedute tra Moratti e i figli di Giacinto



Le parole con cui Barbara Facchetti – figlia di Giacinto – ha rotto il silenzio della famiglia dell'ex presidente dell'Inter sulle ultime vicende di Calciopoli, non aggiungono nulla al dibattito di queste settimane. I Facchetti, come era legittimo e scontato, hanno scelto da sempre la linea della difesa della memoria di Giacinto. L'Inter e Moratti in prima persona, non hanno mai mancato di rimarcare come ritenessero un'offesa imperdonabile soprattutto il coinvolgimento postumo di una defunto con una relazione ufficiale e conclusioni senza possibilità di replica. Dunque non stupisce che Barbara Facchetti ribadisca la volontà di “non arretrare un passo” nell'opera di tutela del nome del padre.

Un po' più difficile da interpretare, invece, il passaggio successivo: “Quel che è giusto tenere a mente è che lo spazio di azione principale resta nelle mani dell'Inter”. Una frase di per sé priva di senso a mano di non collegarla alle parole pronunciate da Massimo Moratti nelle ore subito successive alla conferma della non revocabilità dello scudetto 2006 da parte del Consiglio Federale. “Una risposta obbligatoria e giusta” l'aveva definita il numero uno interista che sulla possibilità di azioni giudiziarie in difesa della memoria di Facchetti si era sfilato: “Credo sia la famiglia che ci sia rimasta molto male, quindi è libera di muoversi come vorrà”.

Possibile che si tratti solo di una coincidenza, ma la precisazione di Barbara Facchetti suona molto come una richiesta esplicita all'Inter perché non consideri chiusa la partita con la semplice conferma dello scudetto 2006. Avrà voglia Moratti di aprire un nuovo fronte coinvolgendo stampa, dirigenti juventini e magari lo stesso Palazzi in un momento in cui tutti, al contrario, gli stanno chiedendo un passo indietro?

Giovanni Capuano

lunedì 25 luglio 2011

Calciopoli/7: al tavolo di Della Valle invitate anche Cosimo Maria Ferri



Al tavolo per chiarire cosa davvero sia successo con Calciopoli e perché Inter e Fiorentina (“due società amiche che condividevano gli stessi principi e gli stessi valori”) siano state divise, nelle parole di Diego Della Valle, da “destini diversi” sarebbe utile che la Figc, lo stesso Della Valle e magari Lotito invitino anche Cosimo Maria Ferri. Il suo nome entrò nelle cronache dell'estate 2006 come 'amico' cui il presidente della Lazio faceva rivelazioni scottanti al telefono. Era un componente della commissione vertenze economiche della Figc. Un dirigente federale, insomma, e come tale deferito dal procuratore Palazzi perché, pur a conoscenza di diverse delle circostanze al centro dell'inchiesta, non si era mai sognato di denunciarle alla giustizia sportiva. Tra queste anche la confidenza sulla presunta proposta di combine avanzata da Diego Della Valle a Claudio Lotito in previsione della sfida tra Lazio e Fiorentina del 22 maggio 2005.

Al processo, però, Cosimo Maria Ferri non ci arrivò perché decise di dimettersi dalla carica e restituire la tessera rendendo così inutile ogni procedimento disciplinare nei suoi confronti. La CAF ricevette la sua memoria difensiva il 26 giugno 2006, ne prese atto e lo estromise dal dibattimento dal momento che, essendosi dimesso dopo l'instaurazione del procedimento stesso, Ferri “... era incorso in modo definitivo nel divieto di far parte dell'ordinamento sportivo in ogni sua articolazione”. Una specie di prescrizione sportiva. Una pietra tombale su ogni atto che potesse riguardarlo.

Quella presunta combine rimase solo sulla carta del procuratore Palazzi. La CAF la giudicò provata e la mise a fondamento della condanna alla serie B della Fiorentina. La Corte Federale ribaltò il verdetto sostenendo che non si era raggiunta la “prova sicura e chiara” della commissione dell'illecito. Ma la stessa Corte ricordò nero su bianco che a causa dell'estromissione dal processo di Cosimo Maria Ferri e delle sue verità era “... venuto a mancare al processo un prezioso contributo probatorio”. Probabilmente non sarebbe stato sufficiente a Palazzi per convincere anche i giudici di secondo grado che la Fiorentina meritava la serie B, però è certo che Della Valle e la sua società (così come la Lazio) si avvantaggiarono del silenzio di Ferri.

Oggi che si vuole chiarezza sarebbe carino ascoltare anche lui insieme ad Auricchio, Rossi e Moratti, al quale si chiede di rinunciare alla prescrizione per non compromettere la propria reputazione personale. Giova però ricordare che lo stesso Diego Della Valle cercò in tutti i modi – legittimamente – di sfilarsi dal processo sportivo non riuscendoci. I suoi legali presentarono una memoria il 26 giugno 2006 in cui si appellarono alla sua indeferibilità perché “socio onorario e non soggetto tesserato”. Tesi rigettata sia dalla CAF che dalla Corte Federale, la quale gli chiese la visura camerale della Fiorentina 2004 e spiegò come DDV, proprietario di 7,2 milioni di azioni (su 8 milioni) della Diego Della Valle Spa a sua volta socio di maggioranza della Fiorentina era certamente “in grado di determinarne le scelte” e, dunque, “era tenuto all'osservanza dello Statuto e delle norme federali” e non poteva “non essere non responsabile della loro eventuale violazione”. Un po' come se Moratti, oggi, affermasse che nell'Inter di quell'epoca di cui era mero azionista di riferimento faceva tutto Facchetti e lui non contava nulla. Seguendo la logica di Della Valle anche il numero uno nerazzurro non avrebbe titoli per essere processato. Con o senza prescrizione.

Giovanni Capuano

giovedì 21 luglio 2011

La diversità di De Laurentiis, un mondo di giocherelloni e Moratti presidente per caso


LA DIVERSITA' DI DE LAURENTIIS - Aurelio De Laurentiis è certamente un presidente avveduto come dimostra la parabola del Napoli, preso in C1 e sbarcato in Champions League, e il bilancio sano della società. Anche un economista di chiara fama come Marco Vitale l'ha citato come buon esempio da seguire. Qualche volta, però, il si fa prendere un po' la mano. E' successo, ad esempio, nella vicenda della lite a distanza con il ct della nazionale uruguayana Tabarez sull'utilizzo di Cavani nella finale di Coppa America. “Non provassero a farlo giocare che faccio loro una causa che non finisce più. Noi non scherziamo: li ammazzo tutti...” ha detto il numero uno partenopeo. Altro che G14, Blatter e accordi assicurativi a tutela dei club. I dirigenti di Real, Barcellona e delle altre big da anni a caccia di indennizzi? Tutti dilettanti. Bastavano le parole giuste dette al momento opportuno. Chissà che paura si sono presi a Montevideo, dove stanno preparando l'appuntamento con la storia. E chissà cosa ne pensa lo stesso Cavani che probabilmente sacrificherebbe ben più di un ginocchio pur di vincere la Copa nello stadio dei rivali storici dell'Argentina. Ma tutto questo a De Laurentiis non importa. Lui è un innovatore: se Cavani gioca li ammazza. L'avesse detto con indosso la maschera da leone c'era il rischio che lo prendessero sul serio...

UN MONDO DI GIOCHERELLONI – Ci deve essere un virus che gira per i campi di calcio italiani e che impedisce a maturi (e adulti) professionisti di rendersi conto di quello che fanno. Già ne era rimasto vittima Gattuso con la storia dei cori contro Leonardo costatagli un buffetto e l'ammirazione sconfinata della curva (a proposito, si sottolinea la sentenza di condanna che a Milano ha chiuso il processo agli ultras che ricattavano il Milan in attesa che anche le altre società sotto schiaffo dai capi curva facciano arrivare denunce alle diverse procure d'Italia). Ora tocca al tecnico del Verona Mandorlini. Passi per il coro anti-Salernitana con sgradevole retrogusto razzista, ma la giustificazione davvero offende l'intelligenza dell'uomo normale. “Doveva essere una cosa simpatica e spiritosa. Era presente anche il sindaco Tosi e volevamo fare due risate” ha spiegato Mandorlini. Ecco, appunto. I calciatori e i politici, le due categorie meno stimate d'Italia in questo momento. Ma è proprio così difficile comportarsi in maniera civile?

UN PRESIDENTE PASSATO PER CASO – Se non fosse perché il calcio d'estate va preso per quello che é, dunque solo poco più di uno scherzo, ci sarebbe da preoccuparsi ad ascoltare le parole di Moratti sul futuro di Sneijder. Va o resta? “Non lo so, me lo chiedo anch'io se resterà” ha risposto il numero uno della Saras all'ennesima domanda sul tormentone dell'estate nerazzurra. Capito? Lui, che paga e decide le strategie dell'Inter, non lo sa ma spera che resti. Proprio come il sciur Brambilla che sotto l'ombrellone sfoglia nervoso la Gazzetta tutte le mattine e che dopo aver letto le parole del padrone sarà stato preso da un dubbio feroce. Se non lo sa Moratti chi deve saperlo? E se Moratti non lo sa ma spera ed è lo stesso Moratti che – dopo l'addio di Leo – voleva Mihajlovic ma alla fine è arrivato Gasperini, chi comanda all'Inter? Domanda legittima visto che un presidente che si comporta come uno che passa per caso serve, forse, solo per ripianare i buchi che fanno gli altri. Quanto costa? 361 milioni di euro solo nelle stagioni post-Calciopoli, quelle del Moratti “che ha imparato a non buttare via soldi”. Evidentemente a lui va bene così.

Giovanni Capuano

domenica 17 luglio 2011

La tessera del tifoso e l'ipocrisia delle leggi 'ad curvam'



La notizia che gli ultras della Roma non saranno obbligati a sottoscrivere la tessera del tifoso per abbonarsi alle gare interne della prossima stagione può stupire solo chi continua a credere che lo la guerra al tifo violento sia una cosa seria. Già nell'ultimo campionato diversi questori – per evitare pericolose commistioni all'interno degli stadi – avevano deciso di riaprire i famigerati settori ospiti per motivi di ordine pubblico. Lo stesso Viminale nel maggio scorso aveva sbugiardato il Casms per consentire (sempre agli ultras giallorossi) la trasferta a San Siro in occasione della semifinale di ritorno della Coppa Italia. “I tifosi sono il nostro motore” aveva spiegato, senza alcuna vergogna, Gian Paolo Montali. Come se i tifosi delle altre squadre non contassero nulla.

Del resto gli ultras romanisti se lo meritavano proprio l'intervento 'ad curvam' del ministero. Prima di quella trasferta a Milano, per la quale l'Osservatorio si era premurato di “... trovare soluzioni e misure organizzative per consentire la più ampia partecipazione dei tifosi della Roma...”, erano costati la miseria di 98mila euro alla società con le loro bravate (cui aggiungere altri 60mila euro tra Coppa Italia e Supercoppa). Non si erano fatti mancare nulla, dai petardi, fumogeni e bengala sul settore ospiti (un classico) ai laser negli occhi del portiere nemico (Muslera) o dello sfortunato assistente di linea (Roma-Genoa), fino alla bottiglia piena d'acqua lanciata sulla panchina del Brescia. Una contabilità ufficiale che non tiene conto di coltellate e agguati all'esterno dell'Olimpico e dell'assedio di Trigoria o di altri 'atti d'amore verso la Magica'. Peggio di loro solo i colleghi della Juventus.

E' bene ricordare che nel settembre 2008 il Viminale aveva messo nero su bianco la sua classifica delle tifoserie definendo quelle di Roma e Napoli “le più violente e pericolose d'Italia”. Da quel giorno la Curva Sud si é impegnata a non smentirlo: 57mila euro di multe in quella stagione, 198mila nella successiva e 158mila nell'ultima. Sempre sul podio della classifica (al contrario) della Coppa Disciplina con prestazioni da record come i 40mila euro di multa che sono ormai la tariffa fissa dei derby o la memorabile finale di Coppa Italia 2010 degli insulti razzisti a Balotelli e della caccia all'interista.

Davvero una tifoseria modello. Da premiare con un nuovo sconticino 'ad curvam'. A noi la tessera del tifoso non è mai piaciuta, ma invece di trasformarla in farsa non si poteva definirla un'esperienza chiusa e voltare pagina? O se si volevano allargare le maglie in vista di facilitazioni perché non iniziare dal Chievo e dai suoi 2.500 euro di multe accumulate in tutta una stagione? Meglio non rispondere. In attesa di conoscere il pensiero del ministro Maroni.

Giovanni Capuano

venerdì 15 luglio 2011

Calciopoli/6: ecco il documento con cui la Figc rigetta il ricorso della Juventus

Tre pagine divise in quindici punti. Ecco il documento con cui il Consiglio Federale ha deciso di rigettare il ricorso della Juventus sulla revoca dello scudetto 2006. Ci sono le motivazioni giuridiche e quelle politiche, la spiegazione del perché il CF non è competente "essendo un organo politico", ma anche il chiarimento definitivo che non si tratta di una 'non decisione' bensì di un "... formale rigetto del ricorso della Juventus..." perché "... la Figc decide di rispettare le normative vigenti...". Insomma, una pietra sopra a tante polemiche.

Eccone una sintesi ripresa dal sito del quotidiano La Repubblica:

PRESCRIZIONE - “La prescrizione è scattata il 30 giugno 2007; il rinvio a giudizio della magistratura ordinaria è arrivato successivamente, il 9 luglio 2007”

LE NUOVE PROVE FORNITE DALLA DIFESA DI MOGGI – “Le ‘telefonate Inter’ sono state recuperate e portate all’attenzione del Tribunale di Napoli dai legali di Luciano Moggi (imputato) che ne hanno chiesto l’acquisizione agli atti del processo; la Juventus non ha mai cercato quelle telefonate o chiesto di poter entrare in possesso di quelle trascrizioni”

PALAZZI E I TEMPI DELLA GIUSTIZIA SPORTIVA - “Il procuratore federale Palazzi ha potuto acquisire e disporre delle trascrizioni delle ‘telefonate Inter’… solo a partire dal 21 aprile 2010,quando il tribunale di Napoli le ha validate e acquisite agli atti; non avendo ovviamente (e giustamente) le intercettazioni telefoniche tra i suoi strumenti di indagine, l’organo inquirente della FIGC poteva operare solo su trascrizioni e atti messi a disposizione da Polizia giudiziaria e Pubblico ministero di Napoli”

INCHIESTA FATTA IN BASE AGLI ARTICOLI DI GIORNALE – “Su questo secondo filone di Calciopoli, Palazzi aveva già aperto l’inchiesta sportiva il 1° aprile 2010 in relazione ai primi articoli di giornale che però non sono ovviamente prove e non possono essere assunti come prove nemmeno in un giudizio sportivo”

L'INTER E LE ALTRE - “Nella relazione finale di Palazzi non c’è solo l’Inter: vengono analizzate e si conclude con l’archiviazione per prescrizione anche nei confronti di altre 8 società ( Cagliari, Chievo, Palermo, Udinese, Vicenza, Empoli, Livorno, Reggina) e di tesserati 14: Cellino, Luca Campedelli, Foschi, Spalletti, Gasparin, Governato, Corsi, Foti, Spinelli, Pairetto, Bergamo, Mazzei, Lanese)”

LA PRESCRIZIONE E' UN DIRITTO - “La prescrizione è rinunciabile, ma allo stesso tempo è un diritto, sancito dall’ordinamento giudiziario, non solo sportivo”

SCUDETTO ASSEGNATO AUTOMATICAMENTE - “L’assegnazione dello scudetto non è un atto amministrativo (che potrebbe in ipotesi essere soggetto a revoca per autotutela); da sempre, scatta un automatismo come conseguenza e presa d’atto della classifica finale del campionato; in questo caso,per lo scorrimento della classifica dopo le penalizzazioni di Juventus e Milan; e infatti alla UEFA – anche ai fini dell’iscrizione delle squadre italiane alle Coppe europee – il commissario straordinario Guido Rossi inviò la classifica finale post sentenze di Calciopoli, con l’Inter al primo posto e la Juventus all’ultimo, quindi retrocessa in B”

IL CONSIGLIO NON E' UN ORGANO DI GIUSTIZIA – “Il Consiglio federale è un organo politico non di giustizia; nei principi fondamentali del CONI e nei recenti pronunciamenti dell’Alta Corte presso il CONI si esclude il potere sanzionatorio a carico di organi politici, riservando questa competenza agli organi della Giustizia sportiva”

FACCHETTI NON PUO' DIFENDERSI - “A proposito dei diritti della difesa e della impossibilità di riaprire un processo sportivo, non si può dimenticare che la relazione di Palazzi non è una sentenza, è un provvedimento requirente, di un rappresentante dell’accusa, l’equivalente di un pubblico ministero; e che nel caso in questione, è coinvolto anche un persona, Giacinto Facchetti, che non può difendersi perché purtroppo deceduta”

ZERO CENSURA - “Non avendo potere sanzionatorio, il Consiglio federale non può intervenire nemmeno con un provvedimento di censura: sarebbe in contraddizione con il suo ruolo e le sue attribuzioni di organo politico e non di giustizia”

SCELGO DI NON SCEGLIERE - “Nessun atteggiamento pilatesco o di non decisione. Con la delibera del Consiglio federale di lunedì 18 la FIGC prende una decisione: decide di rispettare le norme vigenti”

QUESTIONE DI FORMA - “Formale delibera di rigetto dell’esposto della Juventus: un provvedimento dai contenuti e con motivazioni giuridiche per tutelare la Federazione in eventuali successivi giudizi extrasportivi”

INTERCETTAZIONI SCELTE - “Sul piano delle valutazioni e delle posizioni politiche, non si può ovviamente non sottolineare l’estremo disvalore dell’intera vicenda di Calciopoli, ma richiamare anche il disagio determinato dall’andamento delle indagini della Polizia Giudiziaria: telefonate emerse solo in un secondo tempo (non trovate? sottovalutate? ritenute irrilevanti?), in ogni caso portate alla luce solo dietro ricerca e su impulso degli avvocati di un imputato, all’epoca dei fatti Direttore generale della Juventus (Moggi) e per quei fatti condannato in primo e secondo grado dalla Giustizia sportiva alla radiazione, insieme all’allora amministratore delegato della società (Giraudo)”

LA PROPOSTA DELLA FIORENTINA - “Apprezzamento della FIGC per i contenuti dell’intervento di Della Valle (Fiorentina): chiudere una pagina non limpida del calcio italiano e favorire un clima di serenità, nell’interesse di tutti alla vigilia dei prossimi campionati”

Calciopoli/5: dove porta il ricatto degli Agnelli



Sembra che nessuno stia valutando a fondo dove può portare la posizione della Juventus che, dopo averlo lasciato intendere nel giorno della presentazione delle nuove maglie (Agnelli disse: “Voglio rispetto verso la Juventus… Decidere di non decidere sarebbe la cosa peggiore. Aspettiamo la decisione del Consiglio federale, poi prenderemo le nostre decisioni”), ora è uscita allo scoperto. L’attacco del presidente bianconero è stato tanto prevedibile quanto durissimo. La minaccia di azioni legali e la tempistica annunciata (“… ogni azione legale sarà esperita se l’ordinamento sportivo dimostrerà di non essere in grado di garantire ai suoi membri pari dignità ed eguale trattamento…”) sono l’ultimo evidente tentativo di mettere pressione sul presidente Abete.
La Figc, però, ha le mani legate e, dunque, in nessun caso potrà dare soddisfazione alla Juventus. Non perché non voglia fare un dispetto a Moratti, anzi. Il solo fatto di essere arrivati fin qui e di aver autorizzato la redazione e pubblicazione di una relazione senza contraddittorio e inutile essendo evidente a tutti che era scattata la prescrizione dimostra come Abete sia stato più che comprensivo con la voglia di revisionismo degli Agnelli.
Ora, però, è arrivato il momento in cui non si può andare oltre perché fino a prova contraria esistono le regole e le regole dicono che lo scudetto del 2006 non si può revocare e nemmeno ‘sporcare’ con un atto ufficiale, né tantomeno l’Inter, Moratti e Facchetti possono essere deferiti. La minaccia degli Agnelli suona un po’ ricattatoria. Cosa dovrebbe fare Abete per compiacerlo? Cancellare in un colpo solo Statuto, Codice di giustizia sportiva e giurisprudenza precedente? Consegnargli in mano il carico pigliatutto da giocare sul tavolo di una causa civile? Giova ricordare a chi oggi lo definisce Ponzio Pilato che la famosa clausola compromissoria, che vincola società e tesserati a restare nell’ambito dell’ordinamento sportivo, è ancora prevista. E che accettare il ricatto della Juventus o stare silenti davanti a eventuali azioni per risarcimenti danni significa condannare a morte l’autonomia della giustizia sportiva.
In molti invitano Moratti al bel gesto, per altro unico perché nessuno lo chiede contemporaneamente, ad esempio, anche al Milan pesantemente ritirato in ballo, di rinunciare alla prescrizione. Chi si incarica di pregare il giovane Agnelli di astenersi dal distruggere il mondo del calcio in nome di una vendetta?
Forse con in mano un atto scritto di rinuncia a ogni rivalsa da parte juventina si potrebbe davvero pensare di mettere mano a tutti gli atti di Calciopoli, ascoltare tutte le telefonate, vagliare tutte le posizioni e poi, con lo spirito dello storico, scrivere un documento condiviso a futura memoria. Una sorta di commissione d’inchiesta al termine della quale (e senza la pistola puntata addosso del ricatto o dell’equazione Facchetti=Moggi) anche Moratti potrebbe prendere in considerazione il gesto di rimettere lo scudetto a disposizione del calcio italiano come atto di pacificazione a ricordo del periodo più oscuro della sua storia. Magari un giorno ci penseranno. Oggi rende di più definire ‘impotenza’ e ‘non decisione’ la scelta (obbligata) di Abete.
Giovanni Capuano

giovedì 14 luglio 2011

Calciopoli/4: la revoca impossibile e le dimissioni opportune di Abete e Palazzi

Siccome tutti i nodi prima o poi vengono al pettine e il grosso nodo dello scudetto 2006 è ora arrivato al pettine della decisione del Consiglio Federale, è bene provare a mettere qualche punto fermo. Che il titolo non fosse revocabile all’Inter era abbastanza chiaro anche solo leggendo le 72 pagine di Palazzi che tutti, si spera solo per pigrizia, hanno utilizzato per demolire la figura di Facchetti e cercare di spiegare che lo scudetto sarebbe stato revocato. Noi lo avevamo scritto in tempi non sospetti (http://calcinfaccia.blogspot.com/2011/07/clamoroso-nelle-parole-di-palazzi-la.html) e ora il parere legale degli avvocati della Figc lo conferma.
Ma i giuristi interpellati da Abete si spingono anche oltre. Il loro stop alla revoca spiega chiaramente che le parole del presidente federale sull’etica che non va in prescrizione sono state un clamoroso autogol e che al pasticcio di oggi si è arrivati perché nessuno ha avuto il coraggio, 14 mesi fa, di dire alla Juventus che l’esposto presentato era semplicemente irricevibile.
Invece la Figc lo ha accolto. Sarebbe bastato un consulto legale per rispondere alle 9 pagine firmate da Jean-Claude Blanc su carta intestata della Juventus Football Club Spa. L’esposto chiedeva di “… revocare la decisione assunta dalla Figc con atto del Commissario Straordinario Guido Rossi… con ogni consequenziale pronuncia ripristinatoria dello status quo ante…” (in parole povere scrivere un atto per affermare che si procedeva alla non assegnazione dello scudetto ritenendo interamente truccato il campionato) e “… deferire tutti i tesserati e le società coinvolti nei comportamenti antisportivi emersi ai margini del processo di Napoli…” (ovvero processare sportivamente l’Inter, Facchetti e Moratti). Due domande facili facili con due risposte ancora più semplici: nessuna possibilità di riaprire il processo sportivo per l’avvenuta prescrizione (tempo necessario per capirlo la lettura del calendario) e nessuna possibilità di revoca in assenza di procedimento disciplinare.
Invece Abete ha aspettato 14 mesi per convocare gli avvocati e Palazzi ha steso un documento di inutile durezza senza per altro accorgersi di aver così semplicemente fatto copia e incolla delle tesi difensive di Moggi, analizzando una manciata di telefonate selezionate dai legali dell’ex dg della Juventus in un mazzo di 170mila ora sì disponibili a tutti a patto di aver la voglia e il tempo di andarle a prendere a Napoli.
Il risultato è che l’inutile relazione di Palazzi e l’accondiscendenza di Abete hanno consentito un processo postumo a Facchetti e la riabilitazione di Moggi. Che sarebbe finita con il coro “tutti colpevoli nessun colpevole” era evidente. Le conseguenze anche legali arriveranno nei prossimi mesi e a rischiare di esserne travolta è proprio la Figc che ora studia l’ennesimo autogol di una ‘censura’ sulla quale difficilmente Moratti si asterrà dall’intervenire. Della Valle – a tempo abbondantemente scaduto – ha chiesto a tutti di fare un passo indietro. Un consiglio saggio soprattutto per Abete e Palazzi. Un passo indietro per aver avallato la riapertura impossibile della questione Calciopoli. Possiamo chiamarle dimissioni?
Giovanni Capuano

mercoledì 13 luglio 2011

Il momento giusto per non vendere il Milan e gli alibi di mercato


L’enfasi con cui il mondo Milan ha accolto l’annuncio che la sentenza sul lodo Mondadori non costringerà il presidente Berlusconi ad alcun passo indietro, è solo l’ultimo tassello di una strategia comunicativa che ha caratterizzato i tre giorni del ‘grande silenzio’ dopo il colpo da ko inferto dal Tribunale di Milano. L’ipotesi della cessione del 51% del club a un magnate russo (rilanciata da Repubblica) ha certamente aiutato lo Berlusconi e il suo entourage a creare un clima sfavorevole alla sentenza. E, allo stesso tempo, ha consegnato a Galliani e soci un formidabile assist per l’ultimo mese e mezzo di calciomercato.

Che il Milan fosse l’asset giusto da mettere in vendita per fare cassa e far fronte al debito da 560 milioni di euro lo dubitiamo. Basta dare un’occhiata all’ultimo bilancio approvato nell’aprile scorso per farsi un’idea. Bilancio chiuso con un rosso record da 69,7 milioni di euro, ricavi calati da 307 a 253 e costi cresciuti da 302 a 330 milioni. un bilancio che si sarebbe potuto aggiustare solo con una plusvalenza a sei zeri modello quella consentita dalla cessione di Kakà (+64 milioni nel 2009). Una fotografia di una società poco appetibile in termini puramente finanziari e alla quale un eventuale investitore potrebbe essere interessato solo in presenza di potenzialità di sviluppo che oggi mancano al Milan così come al calcio italiano in genere.

L’ammissione di Galliani che – seppure a malincuore – Milan e Inter giocheranno a San Siro almeno fino al 2016, l’annuncio che dal gennaio 2012 anche la società rossonera “...dovrà ridurre il monte spese per rientrare nel fair play finanziario...”, la suddivisione dei diritti tv penalizzante per le grandi e, più in generale, lo scarsissimo appeal del prodotto Serie A limitano di molto i margini di manovra.

Dunque la favola del ‘magnate russo’ disposto a investire per lasciare a Berlusconi la presidenza onoraria (e poi vagli a spiegare che non si poteva più permettere le toccate e fuga a Milanello da presidente-allenatore) è durata lo spazio di un week end. Ora rimane la patata bollente in mano a Galliani. Mister X potrebbe non arrivare più e visti i prezzi che circolano potrebbe non essere un male. Ma spiegarlo oggi è un po’ più semplice e potrebbe essere meno complicato anche giustificare un’uscita eccellente. Perché c’è un dato che ancora non torna nel mondo Milan: è vero che gli effetti della cessione di Ronaldinho (risparmi per circa 12 milioni di euro) si faranno sentire sul prossimo bilancio, però la campagna acquisti sin qui è stata dispendiosa (una ventina di milioni tra El Shaarawy, Boateng e la prima rata di Ibrahimovic). Una situazione insostenibile per un club che parte da -69,7 e deve risalire velocemente la china per non sbattere nel rigore di Platini.

Giovanni Capuano

lunedì 11 luglio 2011

La lotta al doping e i misteri del modello spagnolo


Desta sorpresa l’ennesima sentenza giudiziaria con cui la Spagna ha auto-assolto uno dei suoi miti sportivi dall’accusa infamante di pratiche di doping. Dopo la vicenda Contador, e il suo proscioglimento per ragion di Stato, che già seguiva l’Operaciòn Puerto con il suo carico di nomi in codice non decifrati e sospetti mai chiariti, ora a ottenere la piena riabilitazione è la mezzofondista Marta Dominguez, campionessa mondiale dei 3000 ostacoli e due volte campionessa europea dei 5000, considerata la più grande atleta spagnola in attività. Una giudice ha cancellato le intercettazioni telefoniche realizzate dalla Guardia Civìl che inchiodavano la Dominguez e, di conseguenza, l’ha prosciolta dall’accusa di aver praticato doping e di aver venduto farmaci al compagno di allenamento. Le resta solo una lieve accusa di carattere fiscale che – secondo quanto scrive la stampa spagnola – le sarà tolta nei prossimi mesi. Marta Dominguez, che oggi è lontana dalle piste per maternità, potrà tornare a inseguire il sogno di presentarsi da protagonista alle Olimpiadi del 2012.
Certamente ha visto giusto la giudice e certamente Marta Dominguez era una innocente coinvolta per sbaglio in una storia (l’inchiesta ribattezzata ‘Operaciòn Galgo’) più grande di lei. Però il dubbio che per l’ennesima volta lo sport spagnolo abbia scelto di non emendare i propri peccati è lecito. Perché quando nel dicembre scorso l’Operaciòn Galgo è stata raccontata al mondo intero (e con la Martinez erano rimasti incastrati anche i tecnici della Federazione) di dubbi ce n’erano pochi e di certezze molte, compresa quella che difficilmente tutto sarebbe finito in una bolla di sapone come quattro anni prima con l’Operaciòn Puerto. Invece nulla.
Giovanni Capuano

Calcioscommesse/9: gli interrogatori di Palazzi, l'atteggiamento omertoso e un'inchiesta scomoda



Piccolo promemoria per i tanti che, distratti dalle vicende legate allo scudetto del 2006, hanno perso di vista l’inchiesta calcioscommesse. Dopo aver sentito in una settimana 27 dei protagonisti dell’indagine, l’ufficio della Procura Federale di Palazzi si appresta a un altra infornata di interrogatori che culminerà con l’audizione del capitano dell’Atalanta Doni il prossimo venerdì. A sentire gli interessati sembra che tutto sia a posto. Tutti hanno (o avrebbero) chiarito la loro posizione e la procura di Cremona avrebbe preso un abbaglio gigantesco inducendo così in errore anche Palazzi, che dovrà chiudere il suo lavoro entro la fine del mese di luglio per permettere ai processi di arrivare a sentenza in tempo per la compilazione dei calendari e la partenza dei campionati.

Tutto a posto, dunque? Nemmeno per sogno. L’impressione è che il mondo del calcio, distratto dalla guerra Inter-Juventus, stia cercando di nascondere sotto il tappeto la polvere con tesi autoassolutorie che trovano poco riscontro nel lavoro dei magistrati. Se è vero, infatti, che lo stesso procuratore capo di Cremona Roberto Di Martino dice di non sapere “...fin dove potrà arrivare la giustizia sportiva con il materiale a disposizione...”, ci sono altri passaggi della sua intervista a La Gazzetta dello Sport dello scorso 8 luglio che meritano di essere sottolineati:

“Tutti dicono di aver chiarito, ma nessuno ha portato un solo elemento che alleggerisca la loro posizione” spiega il magistrato che, questa volta, non si affida a sensazioni ma racconta un’inchiesta in cui si è scontrato con un “... atteggiamento omertoso...” e nella quale è poco credibile la tesi della millanteria pura e semplice “perché – dice – se tutti millantassero sempre questo sistema non esisterebbe e sarebbero tutti ridotti sul lastrico...”. Ora, siccome il problema delle scommesse nel mondo del calcio esiste e qualche protagonista ridotto sul lastrico pure, ma sono in maggioranza quelli che se la passano bene, viene il sospetto che si stia sottovalutando l’impatto delle carte di Cremona in mano a Palazzi o in arrivo nelle prossime settimane.

Piccolo promemoria. De Martino dice che ormai gli elementi raccolti sulle partite ‘sospette’ sono “più pesanti rispetto a 40 giorni fa”. Palazzi, fin qui, ha sentito non solo personaggi già citati a Cremona ma anche new entry come il presidente del Chievo Campedelli cui ha chiesto conto delle tante gare ‘chiaccherate’ dei veronesi. Non ci stupiremmo se nei prossimi giorni l’elenco degli interrogati si allungasse con qualche sorpresa che costringa tutti a tornare ad occuparsi di una vicenda considerata chiusa troppo in fretta.

Giovanni Capuano

venerdì 8 luglio 2011

Leonardo, l'uomo libero in fuga da se stesso


“Che professione metterai sulla carta d'identità?” gli ha chiesto un po' ironicamente una giornalista a Leonardo nella sua conferenza stampa d'addio. “Non lo so, sinceramente non lo so” ha risposto l'ormai ex allenatore dell'Inter. Uomo di cultura il brasiliano, uno che parla correntemente cinque lingue, che ne sa di comunicazione e che è talmente bravo a parlare, da saper ‘intortare’ a volte i suoi interlocutori.

E' durata oltre un'ora la sua conferenza stampa d'addio all'Inter, ma quando si sono spenti i microfoni e le telecamere, in tutti i presenti è rimasta la sensazione di un uomo ancora confuso che non sa bene cosa farà nel suo futuro. In una sola conferenza stampa è riuscito a sbagliare le date della sue tappe in Qatar, la data in cui è nato il figlio e addirittura i suoi anni. Un record.

E ancora non si è capito il motivo che ha spinto Leonardo a parlare in conferenza stampa. Perché l'Inter e Leonardo si sono detti addio resta tuttora un mistero. Colpa della voglia di libertà di Leo? Colpa di Moratti che non credeva più nell'ex tecnico rossonero? O forse c'è dell'altro che noi non sappiamo?

Di sicuro Leonardo resta sì un uomo libero, ma anche un professionista pieno di contraddizioni che ancora non sa fare della sua carriera. E rischiando di passare continuamente da una parte all'altra della barricata, dalla scrivania alla panchina, rischia di bruciare un'intera carriera.

Stefano Peduzzi

giovedì 7 luglio 2011

Calciopoli/3: cosa c'è nelle 169.700 telefonate ascoltate solo dalla difesa di Moggi?


C’è una domanda che nessuno ha ancora fatto al procuratore federale Palazzi la cui risposta dovrebbe, invece, interessare a tutti e in particolare a chi è finito a vario titolo nelle 72 pagine della sua durissima requisitoria. La domanda è: cosa c’è nelle altre 169.700 telefonate contenute nell’hard disk e nella cinquantina di cd che il consulente di Moggi, Nicola Penta, ha acquistato investendo poche decine di migliaia di euro? Una domanda legittima considerato che delle 170.000 chiamate intercettate nel corso dell’inchiesta ‘Off side’ solo poche centinaia erano finite nel faldone trasferito alla Procura federale nell’estate del 2006 e solo poche altre sono quelle sbobinate da Penta e fatte acquisire agli atti del processo di Napoli salvo poi tornare allo stesso Palazzi sotto forma di Calciopoli-bis.

Cosa c’è in quella massa di telefonate? Ci sono altri nomi del calcio? Dirigenti, giocatori, allenatori, squadre coinvolte in comportamenti ‘illeciti’? Dallo stesso Penta sappiamo che finora ne ha “… ascoltate almeno 25mila…” poi “… trascritte e contestualizzate con gli eventi sportivi”. Da queste sono state tratte le chiamate di Facchetti e Moratti con Bergamo e Nucini. O, ancora, le nuove comunicazioni di Meani. Quello che sappiamo per certo è che si tratta del lavoro – legittimo – di un consulente della difesa di un imputato in un processo penale e, in quanto tale, un lavoro di parte. Difficile immaginare che Penta abbia trascritto e fatto acquisire agli atti altre chiamate ‘scomode’ di Moggi o dei dirigenti juventini. Sarebbe stato un suicidio. Sappiamo anche che quelle telefonate sono passate al vaglio degli investigatori dell’inchiesta ‘Off side’ e questo fa presumere che non ci fossero altri elementi penalmente rilevanti nei confronti degli imputati. Però sappiamo anche che una telefonata che non ha un profilo di illiceità penale può averne, magari, per la giustizia sportiva. E’ il principio che oggi viene applicato per spiegare l’esclusione dei contatti Facchetti-Moratti-Bergamo dalle carte di Napoli.
Insomma, cosa c’è dentro quelle telefonate? C'è qualche telefonata 'indiretta' che parla di Facchetti e dell'Inter come quella ormai celebre tra Bergamo e la Fazi? O altri elementi utili alla giustizia sportiva? Oggi che sappiamo che esistono perché non ascoltarle? E’ sicuro Palazzi che il quadro descritto nella sua requisitoria corrisponda allo stato delle cose? E’ vero che tutto è caduto in prescrizione, ma considerato che il Procuratore federale ha scelto di articolare il suo giudizio con profondità e durezza inusuale per un procedimento nato ‘morto’ non è il caso di chiedere conto anche di quei 169.700 files?
La conferma che la domanda ha un fondamento la fornisce lo stesso Penta in un passaggio poco sottolineato dell’intervista rilasciata a Tuttosport il 6 luglio. “C’è ancora qualcosa di interessante o tutto è emerso?” gli chiede il giornalista Vaciago. E lui risponde: “C’è ancora molto… L’altra sera ho scoperto una telefonata di Meani nella quale chiama De Santis il giorno prima di Fiorentina-Milan e gli intima di non ammonire Nesta, che era diffidato, in modo che il difensore non salti Milan-Juve della settimana dopo. E qualche chiamata di Collina poi…”. Sicuri che non interessi alla giustizia sportiva chiedersi cosa ci sia dentro quelle 169.700 telefonate?
Giovanni Capuano

mercoledì 6 luglio 2011

Calciopoli/2: quanto è costata alla Juve la serie B? Tra i 300 e i 400 milioni di euro


“Abbiamo gli strumenti per muoverci anche fuori della giustizia sportiva, per ora aspettiamo”. Una frase messa lì non a caso e che passa in secondo piano nella prima uscita pubblica di Andrea Agnelli dopo la pubblicazione delle motivazioni di Palazzi. Una frase che, invece, toglie anche l’ultimo velo alla strategia della Juventus post-Calciopoli. L’obiettivo dichiarato è – al termine anche dell’iter processuale di Napoli – presentare il conto alla Figc. Quanto è costato alla società torinese Calciopoli? “Diverse centinaia di milioni di euro” si è lasciato scappare Agnelli. Ora, dunque, non è più d’attualità capire ‘se’ questo è l’obiettivo, ma ‘quanto’ valga la richiesta di risarcimento che prima o poi partirà in direzione Roma.

Prima dell’outing del numero uno juventino, in passato qualcuno ipotizzato la cifra di 200-250 milioni di euro come risarcimento possibile. Nel documento che nell'agosto 2006 accompagnava il ricorso al Tar della dirigenza juventina, che già allora lamentava “l'ingiustificata gravità delle sanzioni” accusava la giustizia sportiva di “mancata equità di trattamento”, qualche numero veniva fatto: 70 milioni di euro in caso di permanenza in serie A e 130 milioni di euro in caso di conferma della retrocessione in serie B. Il ricorso fu poi ritirato e la questione morta lì. Oggi torna d'attualità ma senza che i riesca a capire quale potrebbe esserne la consistenza. Un'indicazione su come si possa parametrare il calcolo l'ha data proprio il processo di Napoli dove le parti civili hanno fatto la lista della spesa inserendo tra le voci i mancati incassi botteghino, diritti tv, perdita di chance agonistiche, deprezzamento cartellini, danni patrimoniali e morali. L'Atalanta ha chiesto 68 milioni di euro, il Bologna 53, la Rai 10 e così via.

E la Juventus? Applicando gli stessi parametri la cifra che si potrebbe fare parte da una base non inferiore ai 120 milioni di euro. I ricavi della Juventus 2006 erano di 251 milioni di euro. Nei cinque anni predenti erano cresciuti complessivamente di oltre il 30%. Nei cinque anni successivi prima precipitarono (186 milioni di euro nella stagione della serie B) salvo poi risalire faticosamente fino a quota 240 nel 2009-2010. Il bilancio 2011 si chiuderà con una forte perdita già certificata dall'aumento di capitale deciso dalla famiglia Agnelli. Dunque, proiettandosi sui ricavi si parte da 120 milioni di euro cui aggiungere il deprezzamento patrimoniale (valore dei cartellini) e il danno di immagine. Proprio il calcolo del valore dei cartellini riserva, però, più di una sorpresa. Leggendo nel bilancio 2006 della Juventus si scopre, ad esempio, che solo le cessioni di Thuram (-3,5 milioni di euro) e Vieira (-8,6) portarono delle minusvalenze, mentre tutte le altre insieme generarono plusvalenze per 35,2 milioni di euro. Si potrebbe comunque stimare che la Juventus chiederebbe conto alla Figc degli addii frettolosi di Ibrahimovic e degli altri e che, comunque, il danno si potrebbe stimare in qualche decina di milioni di euro.

C'è, però, un altro parametro che potrebbe essere richiamato e che deve terrorizzare Abete. La quotazione in Borsa consente un costante monitoraggio del valore di una società e alla voce Juventus il calcolo è clamoroso. Nella primavera del 2006 al momento dello scoppiare dello scandalo il titolo bianconero (collocato a 3,70 euro per azione) valeva ancora intorno ai 2,50 euro. Moltiplicato per le oltre 201 milioni di azioni circolanti fa una quotazione della società superiore ai 500 milioni di euro. Oggi quel titolo vale intorno ai 90 centesimi di euro. Si è deprezzato del 64%, molto più di quanto ha fatto l'intera Piazza Affari in un quinquennio di crisi e, soprattutto, con una picchiata inarrestabile nei dodici mesi successivi a Calciopoli. Oggi la Juventus in Borsa 'vale' intorno ai 175 milioni di euro, 328 in meno rispetto al 2006. E' il parametro corretto? Impossibile dirlo. Va ad esempio considerato che nello stesso lasso di tempo gli altri due titoli calcistici quotati a Piazza Affari hanno fatto comunque registrare pesanti perdite (la Roma -33% e la Lazio -44%). Ma di certo se Agnelli arriverà a ragionare di risarcimento dei danni il conto per Figc potrà essere ragionevolmente collocato tra i 300 e i 400 milioni di euro. Una cifra monstre impossibile da coprire per la Federazione e il Coni.

Giovanni Capuano

Calciopoli/1: la requisitoria di Palazzi primo passo verso la richiesta di risarcimento danni



L'esposto che ha portato alla relazione-choc di Palazzi e che ha riaperto il dibattito, per altro mai concluso, sulle sentenze di Calciopoli, è solo il primo tassello di un cammino che potrebbe portare la Juventus a chiedere la revisione dei processi che nel luglio del 2006 la condannarono alla serie B. E non si tratterebbe solo di una rivincita 'sportiva' con il tentativo di farsi riassegnare i due scudetti cancellati, ma anche del grimaldello per arrivare a quantificare i danni subiti in conseguenza di quelle sentenze e farli pagare all'ordinamento sportivo. In estrema sintesi chiedere conto alla Figc e al Coni di un quinquennio di mancati incassi, svalutazioni patrimoniali e di immagine.

La chiave di tutto è nel famoso articolo 39 del Codice di Giustizia Sportiva che consente di ricelebrare i processi sportivi se, una volta divenute definitive le sentenze, emergono fatti tali da riconoscere false le prove sulla base delle quali si è proceduto, se non è stato possibile per qualsiasi motivo produrre in dibattimento tutti gli atti necessari o se sono emersi fatti nuovi sconosciuti al momento del processo sportivo. Andrea Agnelli ritiene che il caso della Juventus si applichi alla perfezione alle norme dell'articolo 39. Nel 2006 la Juventus venne giudicata colpevole anche sulla base di episodi che poi non hanno retto la prova dell’aula di un Tribunale come, ad esempio, la vicenda di Paparesta chiuso nello spogliatoio. O, ancora, non tutte le telefonate erano in mano alla Corte Federale e quelle scovate dalla difesa di Moggi hanno cambiato lo scenario dell’intera vicenda rimettendo in gioco l’esclusività del rapporto con il mondo arbitrale da parte dei dirigenti bianconeri. Ora il presidente della Juventus attende che avvenga il 'fatto nuovo' necessario per depositare l’istanza di revisione ex articolo 39. Quale fatto? Nelle scorse settimane si è detto intenzionato ad attendere il terzo grado di giudizio del processo in corso a Napoli, ma in realtà sarebbe sufficiente la relazione di Palazzi o, a maggior ragione, un'eventuale sentenza di revoca dello scudetto 2006 da parte del Consiglio Federale.

Se ad Agnelli riuscisse la triangolazione e, ad esempio, fosse possibile in via ipotetica dimostrare che anche per la giustizia sportiva è venuta a cadere l'ipotesi dell'associazione a delinquere (o illecito strutturale) il gioco sarebbe fatto. Perché magari gli scudetti non tornerebbero a Torino, ma certamente vedrebbe a mancare il presupposto giuridico sulla base del quale la continuazione di violazioni dell'articolo 1 venne trasformata dai giudici sportivo in illecito sportivo (articolo 6) con retrocessione in serie B. E a quel punto – essendo la Juventus una spa quotata in Borsa – difficilmente Agnelli potrebbe trattenersi dal presentare il conto alla Federazione, costretta a difendersi non più nelle aule della giustizia sportiva ma in quelle di un Tribunale Civile ordinario dove le regole dello sport non contano nulla e i diritti delle imprese (specie se quotate) vengono difesi a spada tratta.

Giovanni Capuano

lunedì 4 luglio 2011

CLAMOROSO: nelle parole di Palazzi la spiegazione del perché Moratti potrebbe tenersi lo scudetto


Il veleno potrebbe essere nascosto in una parolina scritta a pagina 70 delle 72 pagine con cui Palazzi ha distrutto l’Inter e la memoria di Giacinto Facchetti. Una parolina messa non a caso lì, alla fine di una lunga serie di considerazioni sulla titolarità della decisione ultima sull’eventuale revoca dello scudetto 2006. La parolina è “... ammissibilità...” e Palazzi la inserisce per spiegare quale sarà il primo ostacolo che la Federazione, in nome di un “interesse qualificato” la cui sussistenza viene giudicata “fondata e ragionevole”, dovrà superare per decidere cosa fare dello scudetto della discordia. Scrive Palazzi che la Federazione farà bene ad acquisire gli atti da lui prodotti per “... poter più compiutamente valutare l’ammissibilità e, quindi, l’eventuale fondatezza della richiesta formulata dalla società Juventus Fc...”. A caldo tutti si sono fermati a sottolineare il richiamo di Palazzi alla possibilità per la Figc di giudicare e, presumibilmente, togliere lo scudetto all’Inter.

Invece le motivazioni del Procuratore federale dicono anche altro e potrebbero clamorosamente spianare la strada alla mancata revoca per Moratti e per l’Inter. Poche righe sopra, infatti, lo stesso Palazzi spiega che non tocca a lui ma alla Federazione pronunciarsi a causa della prescrizione che ha reso non procedibile disciplinarmente il presunto illecito dell’Inter e rifacendosi al parere consultivo dei saggi che il 24 luglio 2006 misero nero su bianco che il titolo di Campione d’Italia tolto alla Juventus andava riassegnato all’Inter.

E cosa scrivevano allora Aigner, Coccia e Pargolesi? Argomentavano che in caso di perdita dello scudetto da parte di una squadra non per sentenza di revoca ma per effetto di una penalizzazione (il caso della Juventus per la stagione 2005-2006) il titolo di campione d Italia veniva “automaticamente acquisito dalla squadra risultante prima classificata in base alla nuova classifica” (in questo caso l’Inter) e che la Figc aveva il potere discrezione di deliberare la non assegnazione del titolo di Campione d’Italia se “...alla luce di criteri di ragionevolezza e di etica sportiva (ad es. quando ci si renda conto, ancorché senza prove certe, che le irregolarità sono state di numero e portata tali da falsare l intero campionato, ovvero che anche squadre non sanzionate hanno tenuto comportamenti poco limpidi)...”.

In nessuna parte del parere si parlava di possibilità discrezione di revoca. E in nessuna parte del Codice di Giustizia Sportiva si prevede la possibilità di revocare un titolo al di fuori di un procedimento disciplinare. La tesi difensiva dell’Inter messa nero su bianco dal Presidente Emerito del Consiglio di Stato Marzio Egidio Schinaia, ricordato dallo stesso Palazzi, punta dritta alla ‘falla’ presente nel diritto sportivo odierno. Palazzi, però, al termine della sua durissima requisitoria potrebbe aver fornito un assist ad Abete e a quanti all’interno del Consiglio federale non vogliono decidere se stare con Moratti o con la Juventus.

Giovanni Capuano

Abete, l'etica, le prescrizioni e i palmarès tutti da riscrivere


Se davvero il palmares non si prescrive e l’etica nemmeno, come hanno ricordato prima il presidente federale Abete e poiil comunicato con cui la Juventus ha commentato l’archiviazione (per prescrizione) del fascicolo Calciopoli Bis a carico dell’Inter, il calcio italiano corre il rischio di dover riscrivere un buona fetta della sua storia recente. E a perderci, per paradosso, potrebbe proprio essere chi oggi attende i pronunciamenti di Consiglio Federale e Tribunale di Napoli per passare all’incasso e cancellare la vergogna dell’estate 2006. Occorre ricordare, infatti, che sotto il capitolo ‘Prescrizione’ sono finite alcune delle vicende più oscure degli ultimi vent’anni. E non si tratta di prescrizione per la giustizia sportiva, ma di processi chiusi davanti a tribunali ordinari con centinaia di pagine di motivazioni. Molto più di quanto possa servire alla Figc per stabilire se un campionato sia stato o meno vinto correttamente sul campo.

La sentenza che nel novembre 2002 manda prescritto Silvio Berlusconi per la vicenda-Lentini apre, ad esempio, uno spaccato su quanto accaduto nella stagione 1991-92 quando il presidente del Milan (è scritto nelle carte del Processo) per alcuni mesi risulta padrone anche del Torino di cui Borsano, all’epoca inguaiatissimo numero uno granata, gli ha girato una buona quota di azioni come garanzia della prima tranche di pagamento (in nero) del trasferimento di Lentini in rossonero. Una cosa vietata dai regolamenti sportivi e certamente punibile con la revoca dello scudetto conquistato sul campo dal Milan (il dodicesimo della storia) e, magari, con la sua assegnazione alla Juventus seconda classificata. Invece nulla. L’inchiesta sportiva aperta già nel 1992 si chiude in tre mesi con il proscioglimento di tutti e quando, qualche anno più tardi, il lavoro della Procura ricostruisce quando accaduto realmente in quella primavera, dal pagamento in parte in nero del giocatore alla cessione a garanzia di quote societarie del Torino, è troppo tardi per intervenire. A nessuno viene in mente di dire che il palmares (e l’etica) non si prescrivono. Il Milan si tiene lo scudetto e la storia finisce lì.

Ancora più intrigante la vicenda-doping che portò la prima Juventus di Moggi e Giraudo in Tribunale. Il dispositivo con cui nel marzo 2007 la Cassazione ha cancellato l’assoluzione in appello per Giraudo e Agricola, riportando l’orologio alla sentenza di primo grado del novembre 2004 ma escludendo passi ulteriori per via della prescrizione, lascia pochi dubbi su quanto accaduto nel quadriennio 1994-98 a Torino. L’inchiesta era nata dalla famosa intervista di Zeman all’Espresso in cui il tecnico boemo parlava per primo dello stretto rapporto tra calcio e farmaci facendo nomi e cognomi. La sentenza di primo grado aveva assolto la Juventus dall’accusa di aver fatto uso di Epo e Giraudo da quella di frode sportiva attraverso la somministrazione eccessiva di farmaci non essendoci la prova che sapesse cosa accadeva nello spogliatoio juventino. Dove – e da lì la condanna a un anno e 10 mesi per il dottor Agricola – il responsabile medico era stato ritenuto responsabile di aver abusato di farmaci su atleti sani per alterare risultati sportivi. Accuse cadute in appello in cui si faceva prevalere l’inesistenza prima del 2000 del reato di doping, ma ritenute valide dalla Cassazione che arrivò a parlare di “… palese violazione dei principi di lealtà e correttezza…”. Tutto, però, caduto in prescrizione e quindi non perseguibile con buona pace del palmares juventino che in quel quadriennio si era arricchito di 3 scudetto e una Champions League. Cosa accadrebbe se oggi Lazio, Parma e Inter, le squadre finite alle spalle di Lippi in quegli anni, chiedessero un giudizio alla Federazione?

Sempre che il Parma ne abbia titolo o non debba anche lui riscrivere un pezzo consistente della sua storia alla luce di quanto emerso nell’inchiesta sul crac Parmalat dalla quale è emerso che Tanzi controllò dal 1998 al 2004 sia il Parma che il Verona, entrambe società di serie A e che, per aggirare le norme Figc, intestò le quote a un prestanome (Giambattista Pastorello. Tutto provato in sede penale con tanto di sequestri di conti correnti e tutto denunciato dall’allora presidente del Napoli Corbelli. Nessuno si mosse né prima né dopo, quando i termini per la prescrizione sportiva erano scattati. Quel Parma aveva messo in bacheca una Coppa Uefa, due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana.

O sempre che nessuno provi a capire che fine hanno fatto le accuse della Procura di Roma a Cragnotti di aver fatto ampio uso di fondi neri per gestire la sua Lazio che negli anni Novanta conquistò uno scudetto (nel 2000), una Coppa delle Coppe, due Coppa Italia e una Supercoppa Uefa. Vicenda, quella del crac Cirio, non ancora conclusa in Tribunale.

Per non dimenticare dell’affare passaporti falsi nel quale nel 2006 uno dei massimi dirigenti dell’Inter (Oriali) patteggiò una condanna a 6 mesi di reclusione per concorso in falso e ricettazione nella vicenda del passaporto italiano di Recoba dopo essersela cavata nel processo sportivo con un anno di inibizione (e due miliardi di lire di ammenda per la società). Reato che, regolamento alla mano, avrebbe portato l’Inter e non solo, visto che lo scandalo aveva colpito anche Milan, Roma, Lazio, Udinese, Sampdoria e Vicenza, a penalizzazioni monstre.

Tutto prescritto, tutto da riscrivere?