mercoledì 22 febbraio 2012

Gli Jacopo Zenga del calcio italiano


di Giovanni Capuano

Non c'è la foto allegata ma per chi lo conosce non è difficile immaginare l'espressione di Walter Zenga quando dal caldo di Dubai ha affidato a Twitter la sua rabbia contro i dirigenti dell'Albese (società del campionato dilettanti) che hanno deciso di licenziare il figlio Jacopo. Una vicenda da calcio minore che il cognome del giovane lasciato a casa consente, però, di portare alla ribalta precisando da subito che sul tavolo ci sono due versioni discordanti ma anche alcune conferme.

La prima è che domenica scorsa Jacopo Zenga durante la gara disputata dalla sua squadra ad Acqui è stato oggetto di una pesante contestazione con insulti a sfondo omofobo e razzista. "Sentir urlare che ero uno zingaro ed un gay non ha fatto altro che far lievitare il mio livello di stress emotivo" ha spiegato Jacopo al quotidiano cuneese Campioni.Cn. 

Raccontano le cronache che il giocatore ha reagito agli insulti tornando negli spogliatoi, è stato espulso e dopo un paio di giorni licenziato dalla sua società che non smentisce gli insulti e i fatti di Acqui ma nega che siano collegati alla decisione di chiudere il rapporto. Da Dubai papà Walter se l'è presa sia per lo sconcio di Acqui ("Trenta idioti") sia con presidente e allenatore dell'Albese ("Complimenti per il rispetto"). 

E soprattutto ha sollevato una domanda che deve riguardare tutto il sottobosco del calcio minore: quanti Jacopo Zenga ci sono in Italia? Quanti ragazzi illusi dalle sirene del pallone e abbandonati a una carriera di basso profilo e bassi guadagni in realtà in cui basta poco per essere fuori? O dove stipendi e rimborsi spese sono spesso affidati al buon cuore di dirigenti e imprenditori locali? Il movimento conta un esercito di circa 15mila società e un milione di atleti e organizza tutte le settimane decine di migliaia di partite. 

E' la base della piramide alla cui punta c'è il calcio degli ingaggi multimilionari che anche papà Zenga ha assaporato, seppure in un'altra epoca. In mezzo - ma non troppo - si trova quella terra di nessuno che sono i campionati semiprofessionistici della cui riforma si parla da ormai troppo tempo e che nei prossimi anni sono destinati a una drastica dieta dimagrante. Abbiamo troppe società, troppi presidenti che non pagano e troppi calciatori che si sono illusi di poter vivere di pallone e adesso faticano a tirare avanti. 

Non è il caso di Jacopo Zenga ma il problema è che queste domande e queste risposte ce le poniamo solo quando la notizia arriva sulle pagine dei giornali. Abbiamo scoperto, ad esempio, che c'è un sottobosco di illegalità che trova terreno fertile proprio nelle serie minori spesso come forma di arrotondamento dei compensi che non arrivano. Spogliatoi che vendono in blocco intere stagioni per far fronte alle crisi delle loro società. Direttori sportivi che cercano di autofinanziarsi con le scommesse. 

Quanti ce ne sono di cui ancora non sappiamo niente? E quanti Jacopo Zenga ci sono in giro per l'Italia. Papà Walter sospetta (e scrive) che il problema sia stata l'impossibilità per l'Albese di rispettare il contratto firmato. La società replica che il ragazzo aveva deluso dal punto di vista professionale e umano. Questioni che si chiariranno tra le parti. A noi interessa l'altro punto. Chi si occupa del calcio italiano che sta male tutto, dal ranking Uefa alla lontana periferia di Acqui?

10 commenti:

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  2. Mi permetto un breve inciso, in qualità di giornalista locale che abitualmente segue le partite dell'Acqui calcio.
    Le gare casalinghe dell'Acqui sono mediamente seguite da un pubblico che oscilla fra i 250 e i 400 tifosi. Quelli che Zenga padre definisce "30 idioti" non sono altro che i tifosi più accesi, che ci sono percentualmente in ogni tifoseria (a San Siro quando gioca l'Inter sono certo che se ne possano contare molti di più). Si può discutere se sia una buona abitudine rivolgere invettive e epiteti ai giocatori avversari: io penso che non lo sia. Tuttavia non è qualcosa che succede solo ad Acqui, e i calciatori, anche quelli di Terza Categoria, imparano sin dalla scuola calcio a non stare a sentire cosa urlano gli spettatori; quando poi il giocatore "beccato", uscendo dal campo alla fine del primo tempo, si permette di esibirsi in gestacci plateali nei confronti del pubblico, commette un'infrazione regolamentare piuttosto grave e non c'è molto da dire se, come è accaduto a Zenga figlio, l'arbitro vedendolo decide di espellerlo.
    Che poi l'Albese non aspettasse altro che un pretesto per rescindere il contratto di Zenga (questa era anche la voce che girava allo stadio subito dopo la partita, che infatti ho riportato nel mio articolo sull'inserto di Tuttosport "TuttoCalcio Piemonte"), è un altro paio di maniche e su questo punto le invettive dell'Uomo Ragno mi sembrano più pertinenti.
    Sottoscrivo l'analisi sul calcio dilettantistico: c'è bisogno di una cura dimagrante drastica e rapida, che riporti i rimborsi spese dei dilettanti all'interno di un giusto senso delle proporzioni. Non é il caso né dell'Acqui né dell'Albese, ma in serie D ci sono troppe società che pagano (o promettono di pagare) ai loro tesserati rimborsi che in certi casi sono cinque volte più alti dello stipendio mensile di un impiegato. I dilettanti devono fare i dilettanti, o presto non avremo più un calcio minore.
    Per quanto riguarda Zenga jr, forse i suoi ex dirigenti gli hanno giocato un brutto scherzo, ma lo scherzo peggiore glielo hanno giocato i nervi. Imparare un po' di educazione non gli farebbe male.

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    1. Caro Massimo, sottoscrivo dalla prima all'ultima riga la tua riflessione sulla qualità del pubblico di Acqui e sulle cattive abitudini degli stadi italiani. A San Siro e altrove non c'è tregua alla maleducazione. Se hai la pazienza di andarti a cercare post meno recenti leggerai che questo blog non ha mai sopportato i distinguo tra comportamenti provocatori, insulti razzisti e alibi forniti a chiunque. Per intenderci tra Balotelli ed Ebagua e gli imbecilli che li seppeliscono di 'buuu' noi siamo stati e saremo sempre con Balotelli ed Ebagua anche se gli stessi giocatori devono imparare a comportarsi meglio. Della vicenda di Jacopo Zenga a me è interessato questo aspetto (in ogni caso da condannare) e l'altro che è lo spaccato del calcio minore in Italia. Chi può riformi in fretta la struttura del nostro calcio dalla serie A alle giovanili, protegga quei pochi che anora vogliono fare gli arbitri, allontani imprenditori e dirigenti senza scrupoli e cancelli per quanto possibile le zone d'ombra che sono il terreno di coltura in cui poi si annida anche il seme dell'illegalità. Il tempo sta per scadere. Grazie e complimenti per le puntuali ricostruzioni che ho rintracciato su quanto accaduto domenica scorsa ad Acqui.

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  3. Gentile Signor Massimo Prosperi, puntualizzo ciò che ha scritto e la corrego.
    I tifosi dell'Acqui non hanno solo insultato Jacopo Zenga, gli hanno sputato in faccia, gli hanno tirato una manciata di monete in faccia approffittando della vicinanza.
    Quindi quando parla di "nervi" si informi un po' meglio sull'accaduto, e quando parla di "educazione" se parla Di Jacopo Zenga si lavi bene la bocca prima di parlare.
    Le posso assicurare, da tifosa casalese, tifoseria ben diversa dalla Sua di Aqcui, che Jacopo Zenga, è prima di tutto un bravo ragazzo, di sani principi e ben educato.
    A Casale nessuno si è mai permesso di insultare Jacopo in quanto "Zenga", o cosa ancora peggiore di insultare la Sua famiglia, l'attuale moglie di Walter(madre della sorellina di Jacopo)!
    Prima di dare un commento del genere si informi un po' meglio, e tenga a bada i Suoi di nervi, e quelli della Sua tanto difesa tifoseria di maleducati.

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  4. Egregia signora Erika
    mi dispiace vederLa così emotivamente coinvolta in una vicenda dove invece io non ho alcun interesse personale. Non ho assolutamente difeso la tifoseria acquese, non ritengo sia buon costume provocare gli avversari. Certe cose, malauguratamente, succedono, e chi sta in campo purtroppo deve controllarsi. Mi creda, è capitato anche a me, su certi campi di seconda categoria, di uscire dal campo abbondantemente sputazzato. Non è segno di educazione nè di bon ton, ma non mi sono mai permesso di replicare.
    La mia bocca, La ringrazio del pensiero, è sufficientemente pulita e risciacquata da acconcia e assidua igiene orale, e forse Le sfugge che il sottoscritto non è un tifoso dell'Acqui, bensì un giornalista. Non risiedo nemmeno in città.
    Non mi metto certo a fare confronti fra la tifoseria acquese e quella del Casale, che non conosco bene e non mi permetto nè di elevare nè di criticare.... peraltro mi sembra normale che la tifoseria per la quale Jacopo ha giocato non lo insulti e non gli riservi sputi o commenti scurrili. Sarebbe bello che questo fosse accaduto anche ad Acqui, ma questo non doveva essere un motivo per reagire a quel modo.
    La rassicuro inoltre per la qualità delle mie informazioni: ero presente alla partita. Le comunico inoltre che i miei nervi a differenza dei Suoi, sono saldi e tranquillissimi, come si può comprendere facilmente dal confronto fra i Suoi toni ed i miei.
    Grazie per aver permesso a tutti i lettori del blog di apprezzare la differenza.

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    1. Più che un giornalista , sembra un bambino al quale piace giudicare i Nervi delle persone.
      Chiarisca i dubbi sulla sua professione, mi sembra un po' tardi ma può ancora iscriversi a "psicologia".
      Ho sbagliato a risponderle,non merita attenzione.
      Preciso che lei non si è mai offeso quando giocava nei campetti della sua infanzia, perchè il suo nome non lo conosce nessuno,nessuno l'ha mai offesa con nome e cognome in un'altra vita , quando avrà un nome importante, vedremo se sarà all'altezza di portarlo o meno.
      Saluti

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    2. Lei è perspicace.
      Nel mio corso di studi in effetti ho all'attivo anche un esame di psicologia sociale superato con discreti risultati (30/30 Genova, 2005). Ho però scelto un altro mestiere, quello di informare la gente, perchè era la mia passione, così come quella di Jacopo è giocare a calcio.
      A proposito di informare: poichè io ho dato nome e cognome, credo sia opportuno spiegare che il Suo dovrebbe essere Anzalone, e se non sbaglio Erica Anzalone è, nella vita, la compagna di Jacopo Zenga.
      Il mio cognome, Lei ha ragione, non è tanto importante quanto quello del Suo fidanzato, e forse questa è la ragione per la quale io Le scrivo di persona anzichè lasciare che lo faccia la mia fidanzata...
      Avrei accettato molto di più queste puntualizzazioni se fossero arrivate dall'interessato, ma lasciamo da parte queste considerazioni. Per quanto riguarda il cognome, mi limito a notare che, senza cognomi illustri, io svolgo il mio mestiere esattamente allo stesso livello del Suo fidanzato: io sono un giornalista che lavora a livello di serie D (con qualche esperienza in C), e Jacopo è un calciatore di D con qualche esperienza in C.
      Siccome non scriverò altri interventi, voglio concludere dicendo che io ho grande stima di Jacopo come calciatore. Su Tuttosport Piemonte ricordo di averlo anche valutato con un 8 ai tempi della Lavagnese, e penso di poter ritrovare un paio di articoli di due estati fa in cui, quando il suo nome era stato associato all'Acqui da voci di mercato, avevo scritto qualcosa del tipo "All'Acqui farebbe proprio comodo un attaccante del valore di Jacopo Zenga". Ritengo anche che l'Albese si sia comportata con lui in modo poco corretto, e che la tifoseria dell'Acqui non si sia comportata in modo edificante insultandolo.
      L'unico rilievo che mi sono permesso di muovere a Jacopo (e so che le stesse cose oltre a me le hanno dette tanti addetti ai lavori che non erano parte in causa) è che non avrebbe dovuto cadere nella provocazione. Questo calcisticamente è un errore, e mi creda, uno quando riceve sputi e insulti non pensa al suo cognome, pensa a quello che gli sta succedendo, e si 'azza come una bestia. E' successo anche a me, sui campetti. Il fatto è che reagire, per quanto umano, è azione controproducente, tanto che a tutti i calciatori, a scuola calcio, si insegna fra l'altro a non ascoltare MAI cosa viene gridato o fatto dal pubblico.

      Sarò lieto di rispondere di ciò che ho scritto direttamente all'interessato, ovvero a Jacopo, se lui avrà voglia di dire qualcosa. Altrimenti per me l'incidente è chiuso.
      Ora La saluto. Se vuole Le fornisco l'e-mail della mia fidanzata, così potete continuare fra voi.

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  5. Non ho dato il mio cognome perchè pensavo fosse ovvio, ho diversi amici giornalisti che seguono Jacopo, e sono Casalese.
    L'interessato(Jacopo) non Le ha scritto perchè ha altro a cui pensare in questo momento, e non avrebbe voluto che Le scrivessi neanch'io (anche perchè non potrei intervenire per tutti gli articoli che scrivono su di lui).
    La sua ironia mi fa sorridere, Le ricordo che sono intervenuta perchè Lei ha offeso il Mio compagno scrivendo:
    "Per quanto riguarda Zenga jr, forse i suoi ex dirigenti gli hanno giocato un brutto scherzo, ma lo scherzo peggiore glielo hanno giocato i nervi. Imparare un po' di educazione non gli farebbe male."
    Chiudo l'intervento dicendole di limitarsi al suo lavoro, descriva gli avvenimenti( e li descriva bene parlando di tutto, sputi e monetine comprese) non dia "giudizi personali" ne Su Jacopo Zenga, ne su chiunque altro Lei non conosca.
    Non si lamenti, almeno, per l'intervento di un familiare offeso.
    Cordiali Saluti.

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  6. Credo che ci sia una cosa su cui purtroppo non potremo mai trovare un punto d'incontro. Intanto il mio giudizio era un giudizio di natura sportiva. Non penso che Jacopo sia un maleducato nella vita; la sua reazione alla maleducazione dei tifosi è stata maleducata, e da un punto di vista della deontologia professionale non si è comportato, pur con molte attenuanti innegabili, come un giocatore dovrebbe comportarsi quello che ho scritto lo pensavo... i suoi nervi hanno giocato un brutto scherzo. Le aggiungo che fra l'altro ero in buona compagnia: parlando con i colleghi presenti il mio giudizio era largamente condiviso (non solo da parte acquese) anche da alcuni addetti ai lavori. Un giocatore è anzitutto un essere umano, può avere mille problemi e mille giustificazioni, ma non deve mettersi allo stesso livello del pubblico, mai. Perchè non è utile al suo lavoro (anzi è dannoso, si rischia di essere espulsi e lasciare la squadra in dieci) e perchè non è sullo stesso piano di chi lo insulta. Magari è pure migliore, ma chi lo insulta ha pagato un biglietto mentre lui è pagato (anche) per non dare retta al pubblico. Poi, se Lei mi dice che pagare un biglietto non è un lasciapassare per insultare chiunque, Le do ragione pienamente, ma questo non cambia la valutazione sull'episodio, dove Jacopo ha sicuramente sbagliato. Penso ne sia cosciente anche lui: le provocazioni che ha trovato ad Acqui potrebbero ricapitargli dovunque, e sono convinto che se questo (e non lo auguro) accadrà, stavolta lui reagirà diversamente, facendo miglior uso della sua educazione sportiva.
    Magari Lei non sarà d'accordo, ma suggerirei comunque di fermarci qui. Non possiamo monopolizzare il sito. Se vuole continuare il confronto, io sono disponibile. Mi cerchi sull'email del giornale per cui lavoro (prosperi.massimo@lancora.com) e sicuramente Le risponderò.
    Cordiali saluti anche a Lei

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