giovedì 16 febbraio 2012

Il flop dell'Arsenal e il calcio inglese che scopre la crisi tra sceicchi, debiti e razzismo



Sceicchi, debiti, razzismo e risultati lontani da quelli del passato. Cosa sta succedendo al calcio inglese che ha smesso di dominare in Europa e sta vivendo la sua stagione peggiore degli ultimi quindici anni? La figuraccia dell’Arsenal a San Siro rischia di essere solo la punta dell’iceberg di una crisi che affonda le radici nell’esplosione della bolla economica della Premier e si allunga fino alle delusioni europee. Già era stato un record al contrario il bilancio di due sole squadre qualificate agli ottavi di finale della Champions League (come accaduto prima solo nel 2000). Ora, con i Gunners virtualmente eliminati, non resta che il Chelsea per evitare un flop storico.

Numeri che confermano un trend chiaro. Da quando la Champions ha assunto il formato attuale a 32 squadre a inizio millennio due sole volte una squadra inglese ha sollevato il trofeo: il miracoloso Liverpool nella notte di Istanbul del 25 maggio 2005 e il Manchester United nel 2008. Nello stesso periodo la Spagna ci è riuscita 5 volte (due volte il Real e tre il Barcellona), l’Italia 3 (Inter e Milan), Germania e Portogallo una a testa. In Europa League il tempo si è fermato al trionfo del Liverpool nel 2001: poi più nulla con la sola comparsata del Fuhlam nella finale di due anni fa.

Erano i maestri e adesso sono scolari come tutti gli altri anche se la Premier continua ad essere il torneo più ricco del mondo, capace di piazzare sei squadre tra le prime dodici per fatturati (fonte: Rapporto Football Money League 2012 della Deloitte) con un giro d’affari complessivo - solo per le ‘big six’ - da un miliardo e 617 milioni di euro. Una vetrina che luccica e rischia di nascondere la polvere. Nella black list ufficiosa della Uefa, che comprende i club al momento non in linea con i parametri del fair play finanziario, ci sono ad esempio i due Manchester, Chelsea e Liverpool. Solo l’Arsenal ha i conti in ordine ma per arrivarci ammortizzando anche l’investimento per costruire l’Emirates Stadium, ha dovuto piegarsi a una rigorosa dieta di mercato che l’ha visto privarsi man mano di tutti i suoi gioielli. Mai Wenger avrebbe autorizzato la partenza in contemporanea di Fabregas e Nasri: quest’estate ha dovuto farlo salvo poi richiamare Henry per tentare di mettere paura al Milan.

Al Manchester United non è stato sufficiente essere negli ultimi venti anni la società che ha ricevuto maggiori introiti dall’Uefa: 400 milioni di euro in premi, merchandising e diritti tv che non hanno coperto nemmeno una piccola parte del miliardo di sterline di debiti fatti da Glazer nel momento dello sbarco in Inghilterra. I tifosi li contestano ma all’orizzonte non si vedono investitori e da due anni si inseguono le voci di una cessione eccellente (Rooney?) per dare un po’ di fiato al bilancio.

Il City dello sceicco Mansour ha gettato sul tavolo del mercato oltre 300 milioni di euro in due anni e mezzo ma oggi è confinato in Europa League e l’Uefa ha messo sotto inchiesta gli accordi di sponsorizzazione con l’Etihad congelando il pagamento del montepremi 2011. La parabola del Chelsea sta seguendo gli entusiasmi sempre più tiepidi di Abramovich e la fase espanisiva a Stamford Bridge sembra ormai un ricordo del passato: dal 2007 a oggi il fatturato del Chelsea è addirittura calato da 283 a 250 milioni di euro. Il Liverpool è fermo e - tra le big inglesi - è quello messo peggio con uno stadio che risale al 1800 e che necessita di una profonda ristrutturazione.

Malgrado tutto gli inglesi continuano a vivere al di sopra delle loro possibilità. Anche nell’ultimo mercato sono il movimento che ha speso di più (636 milioni di euro) accumulando il maggior disavanzo: 231 milioni di euro. Scelte che sono eredità del passato e che consentono alla Premier di essere ancora un mondo a parte rispetto agli altri paesi: la media di fatturato per club è 134 milioni di euro (fonte Uefa.com), ma la forbice rispetto a Germania e Spagna si sta restringendo e, soprattutto, l’indice che misura il peso degli stipendi sul totale delle entrate (vero benchmark dello stato si salute di un movimento) si sta rapidamente avvicinando a medie italiane: siamo ormai al 63% superiore al 51% della Bundesliga e al 59% della Liga. La nostra Serie A, esempio poco virtuoso, è arrivata al 74%.

I primi effetti sul campo li stiamo vedendo adesso ma è un’onda lunga destinata a farsi sentire ancora per qualche anno a meno di una veloce correzione di rotta. Il problema è che negli stadi inglesi si sta risvegliando il fantasma del razzismo. La scena di Suarez che prima insulta Evra e poi, dopo la squalifica, rifiuta di stringergli la mano ha fatto il giro del mondo. Terry ha perso la fascia di capitano dell’Inghilterra per una questione di razzismo e per ‘punirlo’ si è mosso il Primo Ministro in persona. Simulazioni, proteste e cartellini a richiesta stanno diventando un corredo abituale delle sfide di Premier. Abbastanza per far suonare il campanello d’allarme. Il campionato più bello del mondo non esiste più. Sono rimasti i soldi, ma l’umiliante prestazione dell’Arsenal a San Siro costringerà tutti ad aprire gli occhi per cercare correttivi.

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