lunedì 31 ottobre 2011

Infermeria-Inter: già 56 assenze in campionato. Sempre colpa di Benitez e Gasperini?


Lo stiramento che terrà Maicon lontano dai campi per almeno un mese è solo l’ultima conferma di una tendenza in atto ormai da due anni. Non era colpa di Benitez e non è colpa evidentemente nemmeno di Gasperini se i muscoli degli eroi del Triplette sono così logori da non reggere più l’impatto. Come spiegare altrimenti che in questo autunno orribile a rompersi siano stati anche i giocatori che l’ex tecnico del Genoa aveva deciso di risparmiare in estate non convocandoli per Pechino? La precauzione non è bastata se è vero che dei quattro rimasti in vacanza a riposare il solo Cambiasso è sinora rimasto indenne: Maicon si è stirato contro la Juventus (bicipite femorale coscia sinistra) e rientrerà tra un mese, Lucio è stato ai box il 20 agosto (quadricipite femorale gamba destra) e a inizio ottobre (adduttore gamba destra) e Milito ha sentito il polpaccio tirare a fine settembre. Numeri cui vanno aggiunti la lombalgia e poi lo stiramento all’adduttore di Julio Cesar che a Pechino ci era andato perché richiamato dopo l’infortunio di Viviano.

Reduci dalla Coppa America a parte, il quadro è sconfortante. Il ruolino interista parla fin qui di 35 infortuni più o meno gravi di cui 18 di origine muscolare. Cedono sempre le stesse fibre: gli adduttori e il bicipite femorale. Tutto come un anno fa quando Benitez e i suoi metodi erano finiti al centro dell’analisi sul fallimento dell’Inter che nella stagione post-Triplete ha accumulato assenze per 160 giornate. Un dato che rischia di essere polverizzato a breve. Nemmeno un quarto di campionato e i nerazzurri sono già a quota 56 con alle viste le lungodegente di pezzi da novanta come Maicon, Julio Cesar e Forlan. Altro che campanello d’allarme. La sirena suona (e forte) già da un pezzo Peggio dell’Inter sta facendo solo il Milan che ha lasciato in infermeria giocatori per 60 giornate. Un anno fa il record era stato della Juventus (220 assenze totali): Marotta e soci hanno messo mano all’ennesima rifondazione, hanno ringiovanito la squadra e oggi sono il gruppo più sano di tutti (solo 12 assenze). Avrà Moratti il coraggio di percorrere questa strada a costo di liberarsi dei senatori?

Giovanni Capuano

La nostra moviola: Novara e Catania, destini incrociati



E' stato un fine settimana di passione per gli arbitri. Tanti errori gravi che, solo per fortuna, non hanno condizionato in maniera eccessiva le partite della 10° giornata. Ininfluente l'errore di Rizzoli nel big match di San Siro (manca un rigore con esplusione alla Juventus e anche l'Inter si può lamentare per il giallo risparmiato a Pepe in avvio di ripresa che si sarebbe trasformato in rosso dieci minuti più tardi). Ininfluente il gol non visto a Firenze da Peruzzo e collaboratori e senza seguito gli errori di Brighi a Siena. Due le partite che avrebbero potuto chiudersi, invece, con risultati diversi. A Udine il Palermo è stato privati di un pareggio: era da rigore l'intervento di Danilo su Ilicic nel finale. Niente rigore e per noi +2 Udinese e -1 Palermo. Clamorose le sviste di Lecce dove il Novara si è visto negare un gol regolare (e bellissimo) di Meggiorini per un fuorigioco e un rigore per mani di Tomovic in area. Non è la prima volta che i piemontesi vengono svantaggiati. Il bilancio delle prime nove giocate è disastroso: 5 punti in meno. Il contrario del Catania che ne ha 6 in più e senza i favori sarebbe in zona retrocessione.

venerdì 28 ottobre 2011

E nella bolgia di San Siro finì Rizzoli, l'arbitro che tutti chiamavano 'fifone'


Alla fine Braschi ha scelto l’unico che poteva scegliere. Non Tagliavento, poco amato dalle parti di Milano dopo l’Inter-Sampdoria delle manette di Mourinho. Men che meno Rocchi, reduce dagli scempi contro il Napoli. Bergonzi? Discusso a Novara. Orsato? Bocciato a Catania. Brighi? Cancellato a Palermo come il mani da rigore ed espulsione di Migliaccio. Mazzoleni? Così così contro la Roma. Insomma, alla fine Braschi non ha potuto fare altro che chiamare Nicola Rizzoli a scendere nella bolgia di San Siro in quello che sembra essersi trasformato nel giorno del giudizio. Una designazione annunciata, tanto è vero che – dopo aver diretto (bene) i bianconeri contro il Milan alla sesta giornata – Rizzoli era stato tenuto prudentemente lontano da ogni rischio e spedito a fare fiato in un facile Siena-Cesena.

Quaranta anni appena compiuti, internazionale dal 2007 e con alle spalle la direzione di una finale di Europa League (stagione 2009/2010), Rizzoli non è però un arbitro qualunque. E’ l’uomo dei ‘vaffanculo’ urlati in faccia da Totti a Udine (aprile 2008) e costati al capitano romanista solo un’ammonizione in campo e una multa da mille euro poi grazie soprattutto a un referto soft che gli valse un paragone tra la “sua schiena e la torre Garisenda (famosa perché obliqua ndr.)da parte dei moviolisti della Gazzetta e il giudizio tutt’altro che lusinghiero del presidente dell’Aia Gussoni secondo il quale era stata scritta una “pagina nera per l’arbitraggio”.

Da quel giorno Rizzoli ha fatto molta strada, senza mai riuscire però a restare lontano da polemiche e accuse. Collina dovette fermarlo dopo una sfida torrida tra Inter e Roma decisa da un rigore farlocco fischiato a Balotelli che aprì alla rimonta nerazzurra da 1-3 a 3-3 e scatenò la rabbia di De Rossi (“Gli arbitri sembrano tratti in inganno sempre dalla stessa parte”). Tredici mesi e furono gli interisti a lamentarsi dopo la caccia all’uomo nella finale di Coppa Italia chiusa dal calcione di Totti a Supermario. Poi toccò a Mazzarri dopo Napoli-Milan 1-2 giocata dai partenopei con un uomo in meno per tutto un tempo (“Arbitraggio senza uniformità di giudizio… Siamo stati danneggiati”). Quindi fu la volta di Marotta per un rigore concesso all’ultimo secondo alla Roma (mani di Pepe) che tarpò le ali alla Juventus e spinse il direttore generale in sala stampa per sottolineare una prestazione secondo lui “largamente insufficiente”. Rizzoli che con un altro fischio su un falli di mano al novantesimo aveva cancellato una vittoria bianconera anche nell’ottobre 2007 contro la Fiorentina con contorno di polemiche rabbiose.

Le ultime apparizioni sui radar delle moviole sono recenti. Aprile 2010, derby-scudetto a San Siro che il Milan stravince (3-0) ma che costa a Rizzoli e ai suoi collaboratori una sonora bocciatura: mani di Maicon non visto, fuorigioco di Robinho e Pato sui primi due gol del Milan non visti, dubbi sparsi sul gol-non gol di Thiago Motta. Poi, lo scorso 6 agosto, la rivincita a Pechino nella finale di Supercoppa. Il trofeo lo alzano i rossoneri in rimonta. L’Inter mastica amaro e protesta per un presunto vizio di Boateng nell’azione del pareggio di Ibra. E’ estate e gli animi si raffreddano in fretta sotto l’ombrellone. Poi arriva il campionato, la striscia di rigori contro e Moratti esplode. Ora tocca a Rizzoli uscire indenne da San Siro. Per quello che veniva definito “arbitro fifone” sarà un test durissimo.

Giovanni Capuano

giovedì 27 ottobre 2011

Ranieri e la Juventus: c'eravamo tanto amati (da Blanc a Marotta passando per Lippi e Cannavaro)



Non si sono mai amati e, come si conviene in tutti i matrimoni che vanno in pezzi, si sono lasciati male. Storie di avvocati e rancori, accuse reciproche e polemiche. Ranieri non ha mai digerito di esser stato il primo allenatore cacciato dalla Juventus dopo quarant’anni di ‘stile Juve’. I dirigenti bianconeri non gli hanno mai perdonato una freddezza ritenuta eccessiva, quasi che la causa juventina non lo coinvolgesse più di tanto.

La data sulla raccomandata d’esonero è ufficialmente il 18 maggio 2009 ma già da qualche settimana l’aria intorno a Ranieri si era fatta irrespirabile. Colpa di “gente abituata a lavorare nell’ombra” e a “fumare sigari in panchina” spiega poi il tecnico alludendo a Lippi, che con Jean Claude Blanc aveva mangiato la focaccia più reclamizzata della storia del calcio italiano contribuendo a sgretolare certezze e autorevolezza di un allenatore sin lì promosso dai risultati. Una versione confermata più avanti dallo stesso Cobolli Gigli (“Blanc aveva proposto a Lippi di venire a Torino prima di ingaggiare Ranieri… La focaccia fu un errore e Ranieri pagò il peso dell’ombra di Lippi”) e arricchita da Ranieri di particolari piccanti come il no all’acquisto di Cannavaro caldeggiato dallo stesso Lippi (“Venne Blanc a dirmi: ‘Dobbiamo prendere Cannavaro’. Mi ribellai: ‘Chi scusa? Cannavaro? No signori, non ci sto. Sono un uomo libero e non ho procuratori né agenti’” la rivelazione all’Espresso nel marzo 2011). Comunque sia il ‘testaccino’ entra in rotta di collisione con l’ambiente Juve. La squadra precipita e mette in fila 6 pareggi e una sconfitta. Ranieri arriva alle mani con Camoranesi nell’intervallo della partita con il Lecce. “Se ne vuole andare?” gli chiede Blanc: “Mi dovete cacciare voi” gli risponde Claudio. Succede due settimane più tardi e si va per avvocati per una questione di premi non pagati.

L’esilio dura poco. Ranieri siede sulla panchina della Roma lasciata da Spalletti sconfitto in casa proprio dalla Juve di Ferrara. Torna a Torino il 24 gennaio e spara: “Lo Stile Juve? E’ morto con Agnelli”. Buum. Poi in campo Riise al 90’ gli regala la vittoria che vale il sogno della rimonta poi abortita sul più bello. Blanc ovviamente non tace e gli ricorda gli errori di mercato: “Poulsen? Fu Ranieri a decidere di prendere lui e non Xabi Alonso. Avevamo l’accordo con tutti e due…”. Già Poulsen, lo ‘sliding doors’ dell’avventura bianconera di Sor Claudio che rispedisce al mittente le accuse: “Il signorino Blanc mi ha stancato. Lo spiegherò io agli azionisti della Juve com’è andata la storia di Poulsen e Xabi Alonso”. La Roma perde lo scudetto all’ultima e la Juve finisce settima e fuori da tutto.

Anno nuovo, liti nuove. E’ novembre, a Torino 1-1 con polemiche. Rigore per la Roma e travaso di bile di Marotta: “Arbitraggio insufficiente e Borriello è da prova tv”. Ranieri tace? Figurarsi: “Mi sorprendo di Marotta; ha sempre avuto un profilo basso mentre alla Juventus dice queste cose. Evidentemente è stato introdotto bene”. A gennaio la Roma sale ancora a Torino, vince 2-0 ed elimina i bianconeri dalla Coppa Italia. “Non capisco perché si debba giocare in casa loro visto che in campionato siamo arrivati sopra” spara il tecnico alla vigilia. Vince ma la Juve lamenta un mancato rigore su Del Piero.

Siamo ad oggi. Ranieri va all’Inter e Agnelli si chiede se “sarà capace di far sognare i tifosi”. Lui abbozza e poi si toglie un altro sassolino dalla scarpa: “Calciopoli? Meglio chiudere il coperchio che sta sopra questa vicenda perché più mescoli più fa odore”. E sull’addio con l’ex-amante meglio il silenzio. “Questione di etica” precisa. Mica noccioline. Si attende replica da Torino. E non dite a Ranieri che la sua prima Juve – dopo 8 partite – aveva fatto meglio di quella di Conte: 17 punti contro 16. Potrebbe prendervi sul serio e inciderlo sui muri degli spogliatoi di San Siro.

Giovanni Capuano

14 maggio 2006-26 ottobre 2011: Juve in vetta per la prima volta dopo Calciopoli



Non poteva accadere in un momento più significativo, alla vigilia di una sfida che nasce nelle polemiche e alla quale la Juventus arriva con il doppio dei punti dell’Inter e il vento che soffia alle spalle. La vittoria contro la Fiorentina e i passi falsi di Udinese e Lazio hanno regalato ai bianconeri una vetta solitaria storica. E’ la prima volta dopo Calciopoli. L’ultima era stata l’apparizione un po’ surreale al San Nicola di Bari il 14 maggio 2006 con la bufera incombente: Reggina-Juventus 0-2, reti di Trezeguet e Del Piero, fuochi d’artificio e feste in mezzo al campo per la conquista del 29° scudetto e poi, in sala stampa, le dimissioni di “animata rubata” Moggi, il suo addio alla Juve e la rabbia di Capello e dei suoi per una storia non ancora scritta ma di cui era facile immaginare il finale. 

La Juventus si era fermata lì, a quel 14 maggio 2006. Poi era arrivata la serie B, la risalita con l’illusione di poter fare presto e bene, la doccia gelata dei settimi posti in serie e la sensazione di essersi persi per sempre. Sono serviti cinque anni e mezzo e 121 giornate di campionato perché il cerchio si chiudesse e la Juve tornasse là dove era sempre stata abituata a stare: in testa alla classifica, da sola, a ragionare di possibili fughe e di speranze tricolori. E’ accaduto alla vigilia di un faccia a faccia a San Siro che si annuncia torrido, ed è singolare che sia accaduto nelle ore in cui Conte, mostrando i muscoli, ha al mondo urlato che “la Juve non ha amici” un po’ per evitare cali di concentrazione, molto per tenere compatto un ambiente in cui malgrado le vittorie non mancano polemiche e motivi di discussione. La strategia del “rumore dei nemici” tanto a cara a Mourinho ma che, prima ancora del portoghese, era tratto distintivo di Capello, il condottiero che a Bari, quel giorno, disse “questo scudetto ce lo siamo meritati sul campo comunque vada a finire” e da allora non ha cambiato idea. 

La Juventus è tornata. Sarebbe facile dire che è tornata anche l’Inter del 2006. Facile e forse inutile. Oggi che il cerchio si è chiuso meglio prepararsi a una partita che non avrà nulla di banale e che ha, anzi, il tratto della nemesi. L’ultima Juve prima di Calciopoli vinse a San Siro con punizione di Del Piero, linguaccia in bella mostra e petto in fuori. Chissà che sabato sera Conte non scelga di rimettere Alex al centro della nuova Juve.

Giovanni Capuano

mercoledì 26 ottobre 2011

Il coraggio di Gattuso e la storia di Hannes, vice campione del Mondo senza vederci da un occhio



La toccante e dolorosa vicenda personale di Rino Gattuso che, con grande coraggio, il centrocampista rossonero ha deciso di raccontare senza nascondere nulla, permette di riportare alla memoria la figura di un giocatore unico che attraversò con la sua parabola la storia del calcio tedesco negli anni Sessanta e Settanta arrivando a vestire la maglia della nazionale. E’ la storia di Wilfried Hannes, classe 1957, attaccante prima e libero poi. Una delle colonne del Borussia Moenchengladbach di Udo Lattek capace di monopolizzare la Bundesliga per tre anni di fila (1975, 1976 e 1977) e di vincere anche in Europa (due volte la Coppa Uefa nel 1975 e 1979). 

Fortissimo di testa a in possesso di un tiro potente e preciso, raccontano le cronache dell’epoca. Così forte da convincere Jupp Derwall a fargli indossare per otto volte la maglia della Germania Ovest al fianco di fuoriclasse come Schumacher, Breitner, Magath, Rummenigge e dei fratelli Forster con i quali divise anche l’esperienza dei mondiali spagnoli del 1982 durante i quali, però, non riuscì mai a mettere il piede in campo.

C’era anche lui nella notte di Madrid che regalò all’Italia il terzo titolo mondiale, quello di Pablito e dell’urlo di Tardelli. E c’era anche nella sera del 25 maggio 1977 all’Olimpico di Roma quando un Liverpool leggendario sbarrò al Borussia la strada per la conquista della Coppa dei Campioni. Due delusioni che avrebbero segnato la vita di chiunque ma non di Hannes, che era conosciuto (ed amato) da tutti soprattutto per quello sguardo un po’ così, perso in una ciuffo di capelli neri secondo le mode del tempo, fisso, a tratti perso, che gli derivava dall’impossibilità di usare l’occhio destro. Un tumore maligno se l’era portato via quando era ancora un bambino insieme alle speranze di poter continuare a inseguire un pallone su un campo di calcio. Così, almeno, gli avevano pronosticato i medici. Hannes, però, non si era arreso e sul suo talento e sulla sua dedizione aveva costruito una carriera straordinaria. Una vicenda che torna alla memoria oggi perché Gattuso, con il coraggio per nulla scontato di mostrarsi alle telecamere nella sua debolezza di uomo malato e nella sua determinazione a non voler mollare, merita certamente di essere iscritto alla stessa categoria di Hannes che è poi quella dei Pistorius e dei tanti che non si arrendono anche davanti a un handicap fisico. Una lezione per chi continua a considerarli ammirevoli purché restino confinati nella riserva dei ‘paralimpici’.

Giovanni Capuano

Mou come Herrera: niente tv e siesta obbligatoria per i giocatori del Real


Sei regolette semplici, dall’ora a cui cenare alla durata del riposino. Josè Mourinho non lascia nulla di intentato nell’inseguire la sua ossessione di tenersi dietro il Barcellona dell’odiato Guardiola. L’ultima trovata dello Special One ricorda tanto le ricette degli allenatori anni ’60, quelli che appendevano i loro decaloghi alle porte degli spogliatoi o mandavano massaggiatori e dirigenti a fare il giro delle camere nei ritiri per essere sicuri che nessuno scappasse via.
Mou ha preso come scusa la partita in notturna contro il Villarreal e ha scritto le sue consegne per i giocatori del Real, regole da rispettare per non “compromettere la concentrazione in vista della gara” . Prima di tutto il cibo. Cenare due ore prima di mettersi a letto ed evitare caffè o prodotti stimolanti come alcol, cioccolato bibite gassate. L’ideale – secondo il portoghese improvvisato dietologo – sarebbe mangiare alimenti che contengono calcio (latte e pesce) o magnesio (verdura e frutta secca). Evitare di abbuffarsi.

Quanto al sonno bisogna chiudersi in camera e al momento del sonno non distrarsi tenendo accesa la televisione o la radio o dedicandosi eccessivamente ad ogni altra attività che possa compromettere la qualità del riposo. Infine la siesta (“fondamentale perché aiuta a rilassare la mente e il corpo”): è obbligatoria e deve durare mezz’ora. Né più né meno per evitare che il calciatore possa accusare sintomi di disorientamento pregiudicando la sua prestazione.

Un po’ mago e un po’ psicologo, Mourinho ricorda molto da vicino gli allenatori del passato. Herrera era famoso per i controlli a trabocchetto che organizzava alla sera della vigilia delle partite per assicurarsi che i suoi giocatori non sgarrassero: appelli e contrappelli nelle camere, silenzio obbligatorio alle dieci e nessuna deroga. Disciplina e controllo totale sulla vita privata dei suoi calciatori. Chi non si adeguava era fuori, come Angelillo cui non bastò il record di gol in un campionato italiano per garantirsi una carriera all’Inter visto che il Mago non gli perdonava la relazione con una ballerina. Nereo Rocco spediva il medico sociale a presidiare le cucine di Milanello e rispediva a letto a stomaco vuoto chi trasgrediva alle regole. Più avanti nel tempo, sono entrate nella piccola storia del calcio le fughe di Bobo Vieri dal ritiro dell’Inter e quelle di Gullit con incursioni notturne a Milano. Nulla rispetto a quanto accadeva con Peppino Meazza negli anni Trenta. Lui che, racconta la leggenda, fu trovato in un bordello mentre i compagni già si cambiavano negli spogliatoi prima di un Inter-Juve decisivo per lo scudetto. Anno 1937. Il massaggiatore va a recuperarlo, lui arriva, segna due gol e l’Inter scavalca i bianconeri. Storie d’altri tempi. 

Giovanni Capuano

martedì 25 ottobre 2011

Il ritorno di Carmine Russo, l'arbitro comunista che fece infuriare Galliani e Berlusconi


L'esilio è durato 13 mesi e mezzo, 409 giorni dalla notte di Cesena in cui Carmine Russo, arbitro di Avellino con alle spalle una carriera non eccelsa in serie A e davanti la speranza di diventare internazionale, fece infuriare Adriano Galliani assecondando le sbandierate dei suoi assistenti e cancellando due reti (forse) regolari al primo Milan di Ibrahimovic battuto dalla neopromossa e confinato a metà classifica. Era l'11 settembre 2010 e l'amministratore delegato rossonero la prese così male da essere pescato dai giornalisti ad inveire in tribunale contro il designatore Braschi reo di aver vanificato "l'investimento di tanti soldi". Una scenata davanti a decine di testimoni che raccontarono di toni concitati e molto diretti da parte di Galliani e di un Braschi in difficoltà costretto a battere in ritirata. Era solo la seconda giornata e fu chiaro a tutti che la temperatura intorno agli arbitri era già oltre i livelli di guardia.

Domani sera Carmine Russo, classe 1976, libero professionista, torna ad arbitrare il Milan. Ci ha messo 409 giorni da quella sera nella quale, in realtà, non era nemmeno stato il principale colpevole avendo semplicemente avallato le decisioni dei suoi assistenti. Ricusato? Ufficialmente no, perché come Braschi ha avuto modo di ricordare a Moratti dopo lo sfogo anti-Rocchi di qualche settimana fa, le ricusazioni sono roba da prima repubblica del calcio e oggi non esistono più. Però la strada per tornare ad arbitrare il club più titolato del mondo è stata lunga e lastricata di difficoltà. Quei gol annullati a Pato gli costarono anche l'etichetta di 'arbitro comunista', affibiatagli da Berlusconi nel solito a margine degli incontri politici, e un piccato comunicato del Milan sul sito ufficiale con precisazioni sull'applicazione della regola del fuorigioco. Galliani e il designatore non si chiarirono mai, anzi. Il primo spiegò che non vedeva “alcun motivo” per scusarsi avendo “parlato ad alta voce in un luogo pubblico senza necessariamente avercela con Braschi”.

Russo combinò un altro mezzo disastro due settimane più tardi in Brescia-Roma facendo infuriare anche la Sensi e poi uscì dalla rotta delle big. Lui che nella stagione precedente aveva arbitrato due volte Inter, Milan e Juventus e una volta la Roma, accumulò altri 18 gettoni in serie A senza però rivedere le grandi con l'unica eccezione di un Bari-Roma di fine stagione. Quella di San Siro sarà la sua quarta presenza in questo campionato. Viene da Bologna-Lecce, Chievo-Genoa e Cesena-Fiorentina dirette bene e senza errori. Milan-Parma è la sua occasione per tornare nel giro che conta, ma se dovesse sbagliare ancora – per favore – Braschi gli eviti un altro giro nei bassifondi e ci tolga il dubbio che anche nella seconda Repubblica del calcio italiano danneggiare una grande costi all'arbitro di turno un lungo e doloroso esilio.

Giovanni Capuano

La nostra moviola: il disastro di Lecce e Rizzoli esiliato a Siena



Giornata pessima per gli arbitri in serie A e solo per caso il bilancio finale parla di una sola partita condizionata dagli errori. Chi piange è il Parma che lamenta almeno un rigore mancante nella sfida contro l’Atalanta; dunque un punto in più ai ducali e due in meno ai bergamaschi. E’ stata un disastro la direzione di Peruzzo a Lecce, ma la distribuzione degli errori (erano da annullare cinque dei sette gol segnati) è pressoché equivalente tra le due squadre e la somma, per la nostra classifica, è pari. Lo stesso discorso vale per Fiorentina-Catania: gol non visto per gli etnei (ma per fortuna Maxi Lopez ha ribattuto in rete), fallo di Jovetic in partenza dell’azione dell’1-0 non fischiato e mani di Lodi in area di rigore non sanzionato. Giannoccaro bocciato, però il conto è pari. Il migliore di giornata è stato Rizzoli, spedito a fare Siena-Cesena. Vista la qualità media forse era meglio preservarlo per gare più difficili.

Della classifica si parlerà ogni martedì in Campionato dei Campioni in onda a partire dalle 20,45 su Odeon Tv (canale 177 del digitale terrestre) e sul canale Sky 896. Visibile in Lombardia anche su Telereporter (canale 13 del digitale terrestre).