venerdì 30 settembre 2011

La MotoGp a tutti i costi, Battocchio al Celtic Park e il circo-Kobe


MOTO GP A TUTTI I COSTI – Sarebbe bello che domenica mattina gli appassionati di motociclismo scegliessero di restare a letto invece di alzarsi per gustarsi lo spettacolo della MotoGp sul circuito giapponese di Motegi. Dopo rinvii e dubbi alla fine si correrà perché alle ragioni del business non si può opporre nulla, nemmeno le legittime (anche se magari esagerate) preoccupazioni di chi si vede obbligato a convivere una settimana con gli effetti della fuga radioattiva di Fukushima. Sarebbe bello che i televisori restassero spenti non tanto per solidarietà con i piloti, anche se non tutti si chiamano Stoner, Rossi e Lorenzo e c’è anche chi gira per poche migliaia di euro. Sarebbe bello che succedesse per far sentire meno soli i meccanici e operatori che hanno perso il posto di lavoro per il loro rifiuto alla trasferta. Le notizie parlano, al momento, di 8 operatori free lance e di tutta la squadra tecnica della JIR di Alex De Angelis. Tutti appiedati per aver presentato il certificato di malattia. Se abbiano avuto ragione o meno lo scopriremo tra un paio di decenni.

KOBE E IL CIRCO DEL BASKET ITALIANO – Non ci iscriviamo al club degli entusiasti per la prospettiva della sbarco di Kobe Bryant a Bologna per una serie di (ben remunerate) partite. Un po’ perché pensiamo che spendere 3 milioni di euro per schierare un mese Kobe sia uno schiaffo in faccia alla gente che vive e lavora in un movimento in cui intere società rischiano di saltare per molto meno. Un po’ perché siamo ancora affezionati al vecchio concetto che lo sport sia una cosa seria. Pensiamo, ad esempio, che la richiesta di Sabatini di giocare dieci partite ad ottobre per “ottimizzare l’investimento Kobe” sia un non-senso sportivo. Perché dieci squadre dovrebbero accettare di fare le comparse a casa-Virtus per un mese in un torneo palesemente falsato? Le restanti 22 giornate diluite in sei mesi sarebbero davvero un affare per il basket italiano? Cosa ne pensa la federazione che ha appena avallato il progetto di Pianigiani (più italiani in campo) per il rilancio della nazionale? Si attendono risposte nella speranza di evitarci un autunno al circo.

SE BATTOCCHIO PUO’ BASTARE – Incommentabile la prestazione dell’Udinese a Glasgow nel secondo turno del girone di Europa League. Incommentabili le giustificazioni addotte da Guidolin per la scelta di schierare una sorta di Primavera in uno dei templi del calcio europeo. Anche gli scozzesi ci sono rimasti un po’ male ed è difficile dar loro torto. Che poi sia finita con un pareggio decoroso è un’altra questione. Resta la brutta figura che ripropone la questione di quale senso abbia dividere la torta dei diritti tv in parti (quasi) uguali con società che poi rinunciano scientemente a difendere i risultati del calcio italiano all’estero. Della trasferta di Glagow resta semmai un altro mistero: il giovane Battocchio è un fenomeno o uno scarso? “Il nuovo Inler” l’ha definito l’inviato de La Gazzetta dello Sport (voto 7) mentre il collega del Corriere dello Sport l’ha bocciato senza appello (voto 5, il peggiore).

Giovanni Capuano

lunedì 26 settembre 2011

I rossi dimenticati e il Cesena che protesta: prove tecniche di sudditanza?


Agli archivi resteranno tre pagelle in qualche caso nemmeno troppo negative. Mazzoleni di Catania-Juventus, ad esempio, se l’è cavata senza insufficienze (voti tra 6 e 6,5 sui quotidiani sportivi) e l’unico bocciato da tutti è stato il distratto Giannoccaro di Milan-Cesena.
Se tre indizi fanno una prova, però, il dubbio che ci si trovi davanti a prove tecniche di sudditanza da parte degli arbitri verso le grandi è più che legittimo. Come valutare altrimenti i mancati ‘rossi’ di Taiwo, Marchisio e Kjaer che hanno consentito a Milan, Juventus e Roma di non giocare in inferiorità numerica oltre metà delle rispettive partite? Tre episodi molto simili, tutti avvenuti nel finale di primi tempo e tutti con i giocatori già ammoniti e protagonisti di entrate che da regolamento avrebbero dovuto essere sanzionate con il secondo ‘giallo’.
Non è successo. Allegri e Luis Enrique hanno provveduto di persona ad effettuare il cambio consapevoli del regalo. Milan e Roma hanno vinto e ora Cesena e Parma si lamentano. Hanno ragione anche se non è successo nulla di diverso da quanto sempre accaduto. Urge, però, un intervento immediato di Braschi. Inutile predicare la tolleranza zero e poi spaventarsi davanti all’arrabbiatura del big di turno al primo ‘rosso’ che sposta gli equilibri di una partita. L’espulsione di Vucinic in Juventus-Bologna (sacrosanta) era stata accolta da un misurato “Furia Juventus” nei titoli e nei commenti del giorno dopo. A voler pensare male si potrebbe concludere che gli effetti si siano visti subito. Ma noi preferiamo essere ottimisti di natura e credere che si sia trattato solo di umanissime sviste.
Giovanni Capuano

Trova le differenze: le parole di Conte e quelle (uguali e rinnegate) di Del Neri un anno fa


Il Conte del dopo-diluvio di Catania ha ricordato molto da vicino il Del Neri di un anno fa, quello che a mercato finito e dopo le prime giornate di campionato ebbe il coraggio di dire apertamente che la Juventus non avrebbe potuto competere per lo scudetto salvo essere costretto a rapida retromarcia. Cosa ha detto Conte? Due concetti semplici. Uno sul mercato (“Non sono arrivati Tevez, Walcott o Nani e la campagna acquisti ha cercato di coniugare le esigenze economiche e quelle tecniche”) e l’altro sugli obiettivi che non possono essere pretenziosi (“Sarebbe da pazzi creare illusioni anche perché dobbiamo ricordarci che veniamo da due settimi posti”).
Non si segnalano oggi crisi isteriche per le parole di Conte e nemmeno richieste di abiura pubblica come invece accaduto giusto un anno fa quando a provare a dare un senso alle attese del popolo bianconero era stato Gigi Del Neri che, dopo il 3-3 interno contro la Samp, si era permesso di sottolineare: “I tifosi non si illudano: immaginare lo scudetto sarebbe qualcosa di straordinario. Il nostro obiettivo è entrare in Champions League”. Parole goffamente corrette da Marotta il giorno dopo (“Del Neri ha usato parole di grande umiltà ma la Juve va sempre in campo per vincere”) e costate la prima rottura tra il tecnico e l’ambiente bianconero che già aveva poco digerito l’intervista concessa a La Gazzetta dello Sport qualche giorno prima, alla chiusura del mercato. Leggerne oggi qualche passaggio e provare a trovare le differenze con il Conte di Catania può essere divertente. “La società ha fatto quello che poteva fare, tenendo conto degli aspetti tecnici ed economici” era stato il commento di Del Neri al primo mercato di Marotta. Nessun campione? “Calma, nessuno ha rifiutato la Juve e poi chi ha detto che un campione avrebbe risolto tutto? Sono contentissimo dei giocatori che sono arrivati perché per me sono i migliori del mondo”. Le milanesi partono davanti a voi? “Sono d’accordo, perché avevano già una buona struttura. Noi partiamo dietro ma ce la giocheremo ad ogni partita”. Obiettivi stagionali? “Dobbiamo raggiungere la Champions in qualsiasi maniera perché lo esige la storia della Juventus”.
A spanne le due interviste potrebbero tranquillamente essere scambiate senza che nessuno dei due allenatori metta mano a querele. Conte ha già espresso più volte con chiarezza cosa pensa del futuro della sua squadra e quello di Catania è sembrato al massimo uno sfogo più mediatico e meno ragionato di quelli che l’hanno preceduto. La differenza sta semmai nella reazione del mondo-Juventus. A essere ottimisti si può pensare che l’esperienza abbia insegnato a Marotta e soci l’inutilità di caricare di aspettative una tifoseria a digiuno di vittorie. Sarebbe un passo importante. Il dubbio, però, è che semplicemente all’ex-capitano dell’era-Moggi sia concesso oggi quello che per gli altri nemmeno era ipotizzabile ma che, sotto sotto, a Torino siano convinti di poter vincere subito. E se così fosse si comprenderebbero i musi un lunghi di chi sognava già la fuga-scudetto dopo il doppio pareggio contro Bologna e Catania.
Giovanni Capuano

venerdì 23 settembre 2011

Salvate il soldato Pato


Le preoccupazioni di Galliani per la salute di Pato non sono una novità assoluta in casa Milan dove, semmai, colpisce il carattere un po’ perentorio con cui questa volta il dirigente ha affrontato la questione dei frequenti malanni del Papero. “Voglio capire perché questo ragazzo che per due anni interi non ha avuto infortuni adesso sta avendo continui problemi dal punto di vista muscolare” ha detto. Curiosità legittima considerato il lungo elenco di ko che segue l’allarme lanciato dallo stesso Galliani nemmeno un anno fa, quando aveva confessato che il brasiliano nel solo 2010 aveva ‘marcato visita’ per ben 150 giorni a causa di infortuni.
La contabilità è ormai nota a tutti. Dodici fermate ai box in 21 mesi, otto per noie muscolari di cui sei concentrate alla coscia destra protagonista di una ricaduta (21 marzo 2010 al rientro dopo uno stop di tre settimane per una distrazione al bicipite femorale destro e altre sette partite saltate). E’ nota anche la crescente preoccupazione in casa-Milan considerato che neanche la tabella personalizzata di allenamenti studiata per Pato dall’ortopedico William Garrett della Duke University (dicembre 2010) e prima ancora gli interventi sulla dentatura del giocatore (gennaio 2010) hanno portato risultati apprezzabili. Pato è un campione dai muscoli di seta. Un giovane cresciuto molto dal giorno del suo sbarco in Italia (8 centimetri e 8 chili) e che evidentemente non ha ancora trovato un equilibrio muscolare adeguato. Un calciatore da preservare con ogni riguardo.
Anche per questo, riannodando i fili della memoria, torna alla mente l’estate faticosa del Papero più volte costretto a cambi di programma e trasvolate intercontinentali. Infortunato alla spalla sinistra durante l’ultima di campionato (22 maggio), recuperato in tempo per la Coppa America giocata con la maglia del Brasile (quattro presenze da titolare tra il 3 e il 17 luglio), in vacanza e poi spedito a Pechino per la Supercoppa (29 minuti il 6 agosto), impiegato nell’amichevole Germania-Brasile la settimana successiva, di nuovo messo in vacanza salvo essere precettato causa infortunio di Ibrahimovic in vista del debutto in campionato contro il Cagliari (poi saltato) e riportato in tutta fretta a Milanello martedì 23 agosto. Un vero tour de force non necessariamente correlato al nuovo infortunio muscolare subito contro l’Udinese ma che vale comunque la pena sottolineare. A futura memoria.
Giovanni Capuano

mercoledì 21 settembre 2011

La crisi dell'Inter, Gasperini come Benitez e i numeri che bocciano il mercato di Branca e Moratti

Qualche appunto per il tecnico che siederà sulla panchina dell’Inter dalla quale Moratti, dopo una notte di riflessioni, ha deciso di far alzare Gasperini. L’allenatore ex-Genoa ed ora ex-Inter ha certamente molti torti, ma lo sfogo affidato ai microfoni di Mediaset negli spogliatoi di Novara assomiglia molto al testamento lasciato da Benitez ad Abu Dhabi quando spiegò con franchezza che la squadra del Triplete non esisteva più e che dare un futuro a quanto di buono restava sarebbe servita una dose massiccia di muscoli, fiato e classe. Nemmeno un anno dopo Gasperini ha più o meno ripetuto il concetto: “Se il problema è l’allenatore si risolve in fretta, ma se vogliamo provare ad affrontare altre questioni parlare non serve e bisogna solo lavorare”. Hanno deciso di mandarlo via e considerato lo score (un pareggio e quattro sconfitte), le scelte tecniche e alcune impuntature inaccettabili, possiamo ben dire che Moratti non aveva altra scelta.
Però bisogna avere il coraggio di dire che Branca e Ausilio non sono stati capaci quest’estate di dare a Gasperini e all’Inter gli uomini che servivano per gestire proficuamente il passaggio generazionale dal Triplete al futuro. Chi scrive non ha mai criticato, ad esempio, la cessione di Eto’o o l’inseguimento ai parametri del Fair Play Finanziario. Però i soldi sono stati comunque spesi (oltre 36 milioni di euro senza contare Ranocchia e Pazzini) e sono stati spesi male. E allora il successore di Gasperini prenda nota di questi numeri perché se i nuovi arrivati non sono riusciti a ricavarsi altro che le briciole la colpa non può essere stata dell’allenatore ma viene da più in alto. Briciole? Jonathan 223 minuti giocati su 474 ufficiali (e quanti ne avrebbe fatti senza l’infortunio di Maicon?) è stato il più impiegato. Poi Forlan (212’), Zarate (170’ in una girandola di ruoli), Alvarez (124’ ma in tribuna nelle ultime due partite), Castaignos (59’) e Poli (mai utilizzato perché infortunato). Nella top ten dei più impiegati da Gasperini ci sono Julio Cesar e Zanetti (474’), Sneijder (418’), Lucio (378’), Ranocchia (375’), Nagatomo (346’), Cambiasso (345’), Samuel (289’) e Milito (285’) prima di Jonathan. Tutti gli altri vengono dietro. L’età media è 30 anni e 4 mesi e nel reparto centrale sale addirittura a 32. Siccome è difficile pensare che Gasperini sia stato autolesionista ad affidarsi sempre ai soliti lasciando fuori i gioielli del mercato interista ne discende che il primo nodo che il nuovo tecnico si troverà a dover sciogliere sarà quello della chiarezza. Parli apertamente, dica subito che con questi numeri (e questa rosa) i progetti non possono che essere a breve e corto respiro. Poi lavori sulla testa dei giocatori perché al resto, a partire da una feroce autocritica sulle ultime scelte di mercato, dovranno pensarci altri. Moratti in testa.
Giovanni Capuano

lunedì 19 settembre 2011

Il passivo da record della Juve che pagheranno i piccoli azionisti e il Real spendaccione in linea con il Fair Play Finanziario


La cattiva notizia per gli azionisti della Juventus è nascosta a pagina 6 del comunicato con cui la società di Torino ha annunciato di aver chiuso il bilancio 2011 con un rosso record da 95,4 milioni di euro e di aver deciso di azzerare riserve e capitale sociale per ripianare le perdite e varare un aumento di capitale da 120 milioni per dotare il club di nuovi fondi. Nel capitolo dedicato all’aumento di capitale, infatti, il comunicato precisa che “all’esito dell’operazione le azioni che oggi costituiscono il capitale sociale di Juventus saranno annullate” e che, di conseguenza, “solo i sottoscrittori delle nuove azioni risulteranno azionisti Juventus”. Dunque per i circa 40mila piccoli azionisti del club torinese la scelta si preannuncia dolorosa: mettere mano al portafoglio oppure rassegnarsi a veder azzerato il proprio investimento. Nulla di anormale o illecito. Si tratta solo di una delle conseguenze di una chiusura di bilancio così negativo da consentire alla Juventus l’adesione a quanto previsto dall’articolo 2447 del Codice Civile.
Per chi sottoscrisse la discesa in Borsa della Juventus nel 2001 pagando 3 euro e 70 centesimi ad azione si tratterà di un vero e proprio bagno di sangue. Ma anche chi avesse deciso di puntare sulla società torinese in questi dieci anni non se la passa meglio e non solo perché oggi le azioni si sono svalutate di oltre il 70% e valgono meno di un euro ciascuna sul modello di quanto accaduto anche per Lazio e Roma, le altre due società calcistiche italiane quotate in Borsa. A pagare la cattiva gestione post Calciopoli potrebbero essere, insomma, semplici tifosi e piccoli investitori che si erano fidati della Juventus. I tecnicismi di Borsa dicono che probabilmente una parte di loro sottoscriverà l’aumento di capitale garantendo il successo all’operazione finanziaria, ma non spiegano che farlo in tempo di crisi e di bilanci familiari sempre più ristretti e senza la prospettiva di un qualsiasi ritorno economico considerato l’andamento storico delle ‘azioni calcistiche’ rappresenterà un vero atto d’amore pagato, ancora una volta, a caro prezzo.
Il bilancio chiuso al 30 giugno 2011 lancia, però, anche altri campanelli d’allarme a partire dal crollo dei ricavi precipitati da 219 a 172 milioni di euro a causa in particolare del calo dei proventi da diritti televisivi (-43 milioni di euro) e da minusvalenze pesanti per 16 milioni di euro che altro non sono che la certificazione degli errori di mercato della dirigenza. Nelle stesse ore il Real Madrid ha chiuso il bilancio dichiarando ricavi record a quota 480 milioni di euro (all’inizio del millennio erano fermi a 118) e, soprattutto, ha annunciato di aver abbattuto il debito di un terzo. Era l’esercizio economico 2010-2011, quello dell’ingaggio di Mourinho e della rifondazione che ha portato a Madrid i talenti Ozil, Di Maria, Khedira. Negli stessi mesi il Barcellona stellare (e in rosso) ha ridotto l’indebitamento di una trentina di milioni di euro continuando a spendere come se nulla fosse. Di questo passo alla Juventus e a maggior ragione alle altre italiane non basterà lo stadio di proprietà per cancellare gli effetti di un Fair Play Finanziario che sembra costruito apposta per toglierci dall’Europa che conta.
Giovanni Capuano

martedì 13 settembre 2011

Il coro "Moratti deve morire" e i danni collaterali della guerra tra Juventus e Inter


Il link che pubblichiamo in questo post (http://www.youtube.com/watch?v=S4F5MORJBok) spiega meglio di mille prediche perché la faida innescata intorno allo scudetto del 2006 finirà per danneggiare prima di tutto il calcio italiano senza dare soddisfazione a nessuno. E' un coro risuonato nel nuovo stadio della Juventus durante la sfida con il Parma. Lo canta la curva Sud, quella per intenderci senza steward (chissà perché) e senza posti a sedere. Un coro lugubre, di cattivo gusto. Non ci scandalizziamo avendo ascoltato per anni farneticazioni su aerei che si schiantano a Superga o celebrazioni per i morti dell'Heysel. Messa così gioire per i decessi di Prisco e Facchetti e augurarsi la prossima morte di Moratti e Guido Rossi non deve nemmeno stupire più di tanto.

Però è un coro fuori posto e ancor più grave perché caduto nell'indifferenza generale. Andrea Agnelli ha definito al Tg1 la polemica su Calciopoli "una polemica certamente pesante come del resto sono state pesanti le decisioni assunte" e ha provato a spiegare che l'obiettivo è la Figc e l'Inter "è solo un danno collaterale". Parlava dopo aver assistito alla bella vittoria della sua Juventus sul Parma e aver ascoltato con le sue orecchie il coro ritmato della sua curva Sud. Evidentemente non l'ha ritenuto più di una ragazzata da circoscrivere tra gli elementi di folklore di un antagonismo "che è un po' il bello del calcio" a patto che "rimanga dentro il giusto comportamento". Qual è per Agnelli la definizione di giusto comportamento? La curva Sud del nuovo stadio di proprietà è destinata a essere terra di nessuno esattamente come le curve dei vecchi stadi non di proprietà? Chi si assume la responsabilità per il clima da guerra civile in cui verranno vissute le sfide tra Inter e Juventus in campionato? Segnatevi le date: 29 ottobre e 25 marzo. Il tempo per spiegare ai tifosi quale sia il giusto comportamento sta trascorrendo troppo rapidamente.

Giovanni Capuano

lunedì 12 settembre 2011

La curva senza steward e una partita che Agnelli e il calcio italiano non possono perdere


Davvero istruttiva la lettura della pagella al nuovo stadio della Juventus redatta per La Gazzetta dello Sport da Francesco Bramardo dopo il debutto in campionato contro il Parma. Spenti i fuochi d’artificio della cerimonia inaugurale e smorzata l’enfasi per un’opera di cui va dato grandissimo merito alla Juventus, finalmente si è potuta misurare la rivoluzione culturale prima ancora che organizzativa dello stadio di proprietà in Italia.

Il voto finale è un 7 pieno e molto di quello che ancora non funziona al meglio si potrà sistemare. Errori di gioventù i disagi alle biglietterie, le assegnazioni di posti non vicini per nuclei familiari e la carenza di segnaletica esterna. Era la prima in assoluto e non abbiamo dubbi che basteranno poche settimane per correggere le imperfezioni. Qualche speranza in meno la conserviamo sui prezzi dei servizi: 7 euro e mezzo per panino e bibita sono tanti ma bisogna anche ricordare che non va diversamente a San Siro o in altri stadi italiani e, dunque, sarebbe stato ingeneroso chiedere alla Juventus si attuare una politica low cost. Da rivedere (ma con ampi margini di miglioramento) anche il prato verde apparso spelacchiato ma sicuramente provato da una settimana di prove di scenografia.

Ad allarmare davvero è, invece, la descrizione data da La Gazzetta dello Sport della gestione della sicurezza all’interno dell’impianto torinese. Secondo l’inviato il filtraggio è stato ferreo, non sono entrati botti, fumogeni o striscioni, ma una volta dentro gli steward sono come per incanto spariti dalla curva Sud, l’unico settore in cui è consentita l’esposizione degli striscioni di appartenenza e dove – secondo quanto raccontato – è stato “impossibile vedere la partita per molti secondo il biglietto assegnato con posti usurpati dai più esagitati”. E per quanto accaduto nei settori della curva Nord vi rimandiamo alle testimonianze che stanno riempiendo i forum di tifosi juventini (http://www.vecchiasignora.com/topic/204226-posti-a-sedere-in-curva-da-rispettare/page__st__220 ad esempio). Un’amara sorpresa per chi da anni registrava il parere di presidenti e addetti ai lavori secondo cui solo lo stadio di proprietà, in cui le società dettano le regole e gestiscono la sicurezza, avrebbe consentito di chiudere per sempre le curve e lasciare lo spazio occupato dagli ultras a normali famiglie.

Sarebbe utile ricordare che il decreto dell’agosto 2007, che ha regolato l’attività degli steward, non prevede alcuna deroga e che le società organizzatrici sono espressamente indicate come “responsabili dei servizi finalizzati al controllo dei titoli di accesso, dell’instradamento degli spettatori e della verifica del rispetto del regolamento d’uso dell’impianto attraverso propri addetti denominati steward”. Nemmeno il regolamento d’uso del nuovo stadio fa menzione di ‘zone franche’ o ‘terre di nessuno’ lasciate al libero governo degli ultras. I quali da mesi si stanno scontrando proprio per il controllo di quell’unico settore che, evidentemente, ritengono a disposizione. Dopo gli accoltellati nel ritiro di Bardonecchia facce poco raccomandabili giravano all’esterno dello stadio anche in occasione della serata di gala dell’inaugurazione.

Insomma non esiste nessun motivo perché la Juventus e il calcio italiano abdichino da subito alla rivoluzione culturale degli stadi di proprietà. Il nostro è un appello ad Agnelli. Non si pieghi alle consuetudini che hanno rovinato l’atmosfera nei nostri impianti, mandi subito gli steward in curva sud e faccia rispettare i diritti di chi ha fatto l’abbonamento e vuole godersi la partita seduto. La differenza tra prima e dopo non può essere solo nell’acustica perfetta del nuovo stadio. Per favore. Altrimenti che nessuno chieda alla collettività di fare alcun tipo di sacrificio per finanziare le nuove cattedrali del calcio. Perché i mutui agevolati del Credito Sportivo e le varianti per la costruzione dei centri commerciali sono forme di agevolazione e sostegno a queste opere sono, a tutti gli effetti, interventi del pubblico a sostegno del privato.

Giovanni Capuano

venerdì 9 settembre 2011

Il terzo tempo di Toniolatto, i tifosi che non ci credono e lo strano caso della doppia personalità di Pianigiani


UNA SQUADRA IN INFERMERIA – Viviano, Maicon, Mexes, Britos, Taiwo, Pizarro, Flamini, Thiago Motta, Lamela, Robinho, Floro Flores. A che posizione in classifica potrebbe aspirare questa formazione (con in panchina Chivu Juan, Kroldrup, Pasquato, Poli, Inzaghi e Barreto)? Certamente lotterebbe alle spalle delle prime. E’ la squadra degli infortunati che guarderanno il debutto in campionato dall’infermeria. Se il buongiorno si vede dal mattino sarà un’altra stagione in cui gli infortuni rischiano di diventare una variabile decisiva soprattutto nella lotta per lo scudetto. Un anno fa Benitez cominciava a fare i conti con il logorio dei muscoli degli eroi del Triplete. Leonardo non è stato da meno e oggi a Gasp viene il sospetto che possa non trattarsi di un caso. Tremano anche Gasp e Allegri. Meno male che le rose sono ancora più extralarge rispetto al passato…

IL TERZO TEMPO DI TONIOLATTO – A proposito di cultura sportiva invidiamo la Francia dove L’Equipe può permettersi di dedicare l’intera prima pagina alla presentazione del Mondiale di rugby al via nel fine settimana in Nuova Zelanda. D’accordo che i galletti partono tra i favoriti e i nostri no, ma è comunque istruttivo fare un paragone con i giornali sportivi italiani della stessa giornata. Sulla prima della Gazzetta zero rugby ma spazio per le confessioni sugli amori della Pellegrini e gli schiaffi del Giro di Padania. Sul Corriere dello Sport se ne parla a pagina 20 in una rubrichetta (sponsorizzata) ribattezzata “Il terzo tempo di Toniolatto” che ci informa di come abbia annunciato su Facebook la sua prossima paternità (auguri). Su Tuttosport tre colonnine a pagina 16 con meno centimetri quadrati di quelli dedicati alla foto della bellissima Elisa che parteciperà a Miss Mondo e, certamente, molti meno dell’imperdibile rubrica “Gossip Naturale e Frizzante”. Oggi CorSport e Tuttosport rimediano con due inserti dedicati (e ampiamente sponsorizzati) ma le prime pagine restano tabù. Meglio raccontare della sfida di Magnini con i delfini all’acquapark…

LE TELEFONATE DI PIANIGIANI – Non vorremmo essere nei panni di Pianigiani-allenatore di Siena quando dall’altra parte del telefonino sentirà la voce del Pianigiani-ct intimargli di aiutarlo a costruire giocatori italiani di alto livello per la nazionale azzurra. Uno strano caso di sdoppiamento della personalità in cui il Pianigiani-ct chiederà al Pianigiani-allenatore di comportarsi esattamente al contrario di quanto fatto finora. Il tecnico di Siena gli racconterà di aver inserito Aradori e Carraretto in un gruppo ai vertici in Europa. Quello della Nazionale gli spiegherà che non bastano le briciole (meno di 600 minuti in due in tutta l’Eurolega, addirittura solo 28 nella Final Four con la miseria di cinque tiri a canestro sui 129 tentati dal Mps a Barcellona) per far crescere i giovani. Non vorremmo essere nei panni del Pianigiani-allenatore. Soprattutto se il Pianigiani-ct decidesse di trattarlo come i suoi nell’ormai celebre timeout salva-dignità contro Israele.

ANTIPATICI E POCO CREDIBILI – Dell’inchiesta di Repubblica sullo stato di salute del calcio italiano è stato ripreso soprattutto il dato che vede per la prima volta sotto il 50% la percentuale di persone che esprimono una preferenza per una squadra. I tifosi calano ed è un dato oggettivo e preoccupante oltre che banale da sottolineare. Basta andare negli stadi per vedere i seggiolini vuoti. Molto più interessanti, invece, le risposte degli appassionati ad altri quesiti posti dalla ricerca. Ad esempio più della metà dei tifosi continua a pensare che dietro gli errori degli arbitri ci siano complotti di palazzo. O, ancora, considerano Calciopoli una montatura costruita per distruggere la Juventus e (addirittura per due terzi) il calcioscommesse come una vicenda che in realtà vede coinvolte le società al massimo livello. Pochi, brutti e incattiviti. Se si cominciasse a lavorare sulla qualità del pubblico del calcio forse si potrebbe ottenere qualche risultato anche numerico. Ma siamo in Italia. Un paese dove il presidente della società più importante può rivendicare urlando in un microfono gli scudetti revocati mentre il presidente della federazione lo guarda compiaciuto dalla tribuna…

mercoledì 7 settembre 2011

I record di Prandelli nati con gli scarti di Lippi. L'(ex) ct ora si scusi per la figuraccia in Sudafrica


La qualificazione anticipata agli Europei è la conferma che il calcio italiano conserva un minimo di competitività ad alto livello anche in un periodo di difficoltà che sembrano condannarlo a una lenta ma inesorabile retrocessione. Senza volerli caricare di inutile enfasi, i numeri da record della nazionale di Prandelli nel girone che ci proietta in Polonia ed Ucraina sono la fotografia esatta di cosa siamo oggi: una squadra solida, senza fuoriclasse ma nemmeno senza punti deboli che ci costringano ad abbassare la testa davanti ad avversari di secondo livello. A patto di non cadere nell'errore di considerarci favoriti in un Europeo in cui Spagna, Germania e Olanda restano oggettivamente più forti di noi, rappresenta un ottimo punto di partenza per costruire in serenità l'appuntamento che dovrà cancellare le vergogne sudafricane di un anno fa.

I risultati di Prandelli, che aveva ereditato una nazionale allo sfascio e un gruppo senza più alcuna autostima, dimostrano però anche che per restare competitivi è sufficiente limitarsi a fare le scelte più logiche senza arroccarsi in inutili personalismi. Negli ultimi quattordici mesi nel panorama del calcio italiano non è successo nulla di sconvolgente. Non è apparso sulla scena un nuovo Messi e nemmeno è esploso qualche talento sin qui inespresso. Se andiamo agli Europei con due turni d'anticipo è fondamentalmente grazie agli scarti di Lippi, giocatori che un anno fa il ct aveva scelto di lasciare a casa e che oggi rappresentano la spina dorsale del gruppo di Prandelli.

Nei ventitre del Sudafrica non c'erano Cassani, Ranocchia, Balzaretti, Aquilani, Thiago Motta, Cassano, Rossi e Balotelli. In compenso Lippi si era portato Cannavaro, Gattuso, Iaquinta, Pepe e Zambrotta e aveva regalato solo briciole a Pazzini (74 minuti), Maggio (89) e Quagliarella (79). Tolti Ranocchia e Aquilani, il primo infortunato e il secondo reduce da una stagione disastrosa, nessuno dei 'nuovi' di Prandelli era indisponibile un anno fa. Anzi. Il ct si era affidato al blocco della Juventus (settima in serie A e addirittura quartultima nel girone di ritorno con 22 punti) e aveva ignorato l'Inter del Triplete con la risibile spiegazione che ad Appiano Gentile non c'erano italiani. Aveva inseguito l'oriundo Amauri scartando senza nemmeno provarlo Thiago Motta, reduce dalla miglior annata della sua carriera. Aveva bocciato Balotelli (40 presente e 11 gol in quella stagione) come immaturo e mai convocato. Aveva escluso o marginalizzato la migliore coppia gol della stagione (Pazzini-Cassano, 29 gol in due con la Samp), considerato Rossi (17 gol tra Liga ed Europa League) meno utile di Quagliarella, tenuto a casa Balzaretti e Cassani, motori del Palermo classificatosi quinto alle spalle delle grandi. Di fronte alle critiche aveva argomentato che “non era rimasto in Italia nessuno che potesse essere più utile dei giocatori portati al Mondiale”. I fatti si sono incaricati di smentirlo.

L'Italia non era quella eliminata in Sudafrica da Paraguay e Slovacchia e precipitata al 16° posto del ranking Fifa. A Prandelli è bastato mettere in fila scelte logiche per certificarlo. La sua vittoria oggi è anche un atto d'accusa per il Lippi sudafricano che oggi si unisce al coro di complimenti per il suo successore. A un anno di distanza sarebbero più gradite scuse e spiegazioni, quelle che l'ex ct si è sempre rifiutato di fornire nascondendosi dietro l'insindacabilità delle sue scelte. E non si parli di avversari abbordabili e girone troppo facile per fallire. In Sudafrica ci arenammo davanti a Paraguay (31° nel ranking), Slovacchia (34°) e Nuova Zelanda (78°). Per quale motivo Slovenia (23°), Serbia (29°) e Irlanda del Nord (59°) avrebbero dovuto rappresentare un ostacolo più basso da saltare?

Giovanni Capuano

domenica 4 settembre 2011

La distruzione del mito-Totti e Messi che non viene mai sostituito



Una delle motivazioni più ridicole date per giustificare l’intervento a gamba tesa del ds della Roma Sabatini su Totti è che, senza la discesa in campo ufficiale da parte della società il tecnico Luis Enrique avrebbe perso autorevolezza e controllo sullo spogliatoio. E, in particolare, sulla pattuglia spagnola fortemente voluta da lui (a partire dall’ex Barcellona Bojan) che, come hanno ricostruito i retroscenisti de La Gazzetta dello Sport, sarebbe perplessa perchè il pubblico giallorosso ha contestato la sostituzione del capitano contro lo Slovan mentre, ad esempio, al Camp Nou nessuno si sogna di discutere Guardiola quando toglie Messi.

Da qui l’ultimatum di Sabatini a Totti, invitato ad “accettare le esclusioni in un’altra maniera” anche per “non mettere in imbarazzo i giocatori più giovani” perché Roma città “non accetta che Totti possa anche non giocare, si crea subito un movimento di opinione fragoroso e non si parla di scelta tecnica, ma di lesa maestà. Totti non merita di passare alla storia come il giocatore che ha fatto perdere il posto agli ultimi allenatori della Roma” .

Una spiegazione tutta da ridere. Totti mette il broncio e fa bene, visto che il doppio sgarbo di Luis Enrique nei suoi confronti è valso la figuraccia europea contro lo Slovan. Se al posto suo gioca Viviani qualcosa che non quadra ci deve pur essere, ma evidentemente ai dirigenti romanisti al momento non interessa. Quanto a Messi è sufficiente sfogliare l’almanacco per smontare le tesi di Bojan. Nelle ultime due stagioni il popolo del Bernabeu ha visto uscire Messi prima della fine addirittura ben due volte su una sessantina di partite (interne). Un evento così raro da annotarsi data e motivazione. E’ successo il 14 marzo 2010 dopo 87 minuti della sfida con il Valencia (passerella per aver realizzato una tripletta) e il 12 gennaio 2011 all’86’ di Bercellona-Betis 5-0 di Copa del Rey (anche qui dopo una tripletta). Poi stop. E anche in trasferta non è che cambi molto. Nelle ultime 110 partite giocate in maglia blaugrana il fenomeno argentino è stato sostituito solo 7 volte.
Strano che a confondersi sia stato proprio Bojan, l’uomo scelto quasi sempre da Guardiola per sollevare la Pulce dagli ultimi, faticosissimi, secondi di quelle sfide.

Messi non esce mai o quasi. Un trattamento da migliore della classe. Nella stessa conferenza stampa Sabatini è stato capace di dire anche che Totti è “il giocatore più forte di tutti i tempi” e che “è una fortuna avere uno come lui”. Sarà forse anche per questo che l’ex Pupone non si raccapezza e fatica a capire le strategie della nuova Roma? Se togli il giocatore più forte di tutti i tempi chi sbaglia? Lui, i tifosi che si arrabbiano o l'allenatore? O anche Sabatini - come gli altri dirigenti passati da Roma come l'acqua sotto i ponti - non ha il coraggio di dire fino in fondo quello che pensa e spera che sia la città a scaricare l'uomo che l'ha difesa e rappresentata negli ultimi venti anni?

Giovanni Capuano

giovedì 1 settembre 2011

Il mercato della finta austerity, le rose che si allargano e gli sceicchi di Torino e Roma




Doveva essere il mercato dell'austerità e del ridimensionamento. E' stato il mercato in cui il calcio italiano si è certamente impoverito senza, però, riuscire nell'opera di risparmio che si era prefissato. Al di là delle parole sono i numeri a rendere la fotografia impietosa dell'ennesima occasione sprecata. Continuiamo a vivere al di sopra delle nostre possibilità e nemmeno la congiuntura di una crisi economica senza precedenti nel Paese ha suggerito prudenza ai nostri dirigenti.

SALDO NEGATIVO – Malgrado le partenze di Pastore, Sanchez ed Eto'o abbiano garantito un incasso complessivo di quasi cento milioni di euro, il saldo tra spese e ricavi dei club di Serie A segna un rosso profondo: -79,3 milioni di euro. In Europa solo la Premier League ha fatto peggio di noi (-217 mln) in un quadro in cui tutti i tornei maggiori hanno speso più di quanto guadagnato. Complessivamente Italia, Francia, Spagna, Germania e Inghilterra hanno bruciato 413 milioni di euro. Inglesi a parte siamo anche quelli che hanno speso di più (501 milioni di euro) anche se, per una volta, siamo anche quelli che hanno venduto maggiormente (421 mln). In parole povere ci siamo comportati come i più ricchi ma rispetto a loro fatturiamo la metà. Il ritornello ormai lo conosciamo a memoria ma evidentemente non è sufficiente per cambiare strategia.

SEICENTO MILIONI BRUCIATI – Dal 2005 ad oggi il calcio italiano ha bruciato sull'altare del calciomercato 627 milioni di euro. Quella appena chiusa è stata la settima stagione consecutiva con un saldo passivo. Siamo lontani dal record del 2008-2009 (- 225 mln tra estate e inverno) però solo due volte negli ultimi dieci anni abbiamo speso di più: nel 2008 e nel 2009. Nello stesso arco di tempo l'Europa che conta ha accumulato passivi per 3,8 miliardi di euro la metà dei quali a carico della Premier League che non ha mai chiuso una sessione in attivo.

GLI SCEICCHI? SIAMO NOI – In testa alla classifica di chi ha speso di più ci sono due club in mano ai 'nuovi ricchi' provenienti dall'Oriente: Manchester City (92,5 mln) e Psg (86,7 mln). Anche il Malaga ha aperto i cordoni della borsa accumulando un passivo di 58 milioni di euro. Attenzione, però, perché alle spalle di City e PSG, insieme al Chelsea, ci sono Juventus (85,7 mln) e Roma (78,6 mln). I giallorossi hanno firmato quattro dei sei acquisti più costosi per le società italiane (Lamela, Osvaldo, Bojan e Pjanic). Chi l'ha detto che lo zio Tom non abbia davvero soldi e idee? In generale, però, mentre i giocatori-copertina ci hanno lasciato abbiamo investito tanto per figure di secondo piano. Nessun nostro club compare nell'elenco dei dieci acquisti più costosi. Senza risparmiare tanto valeva provare a trattenere qualcuno.

LE ROSE? SEMPRE PIU' EXTRALARGE – Se domani si giocasse un Mondiale con rose a 23 giocatori la Serie A dovrebbe iscrivere sette squadre in più rispetto a un anno fa. Il mercato italiano ha movimentato in tutto 915 calciatori e – nei giorni in cui i presidenti si battevano per la modifica del contratto collettivo – il saldo è positivo: +159 giocatori. Nel mazzo ci sono anche giovani, esuberi, prestiti più o meno obbligati e cavalli di ritorno. Anche in questo caso, però, ci distinguiamo: in Premier le società ne hanno acquistati 48 in più di quelli che hanno ceduto e il numero cala in Spagna (+15) e Germania (+7) per andare addirittura in negativo in Francia (-13).

LEGGE MELANDRI? UN FALLIMENTO – E' stata la prima estate in cui i club italiani sono partiti con una divisione dei diritti tv 'interna' più equilibrata. Le grandi hanno lasciato sul tavolo delle medio-piccole una trentina di milioni di euro nella speranza di aumentare equilibri e appeal del nostro campionato. Obiettivo fallito. Napoli a parte la 'borghesia' italiana ha pensato a monetizzare anche a costo di smantellare. I casi più evidenti sono Udinese e Palermo: hanno realizzato guadagni record (rispettivamente 54 e 23 milioni di euro). Non è un caso che abbiano già fallito l'appuntamento europeo. E i danni, anche patrimoniali, li paga tutto il movimento.

CROLLA LA SERIE B – Campanello d'allarme per la nostra Serie B. Il saldo tra entrate e uscite è positivo (+23 milioni di euro) in linea con l'andamento dei maggiori movimenti europei, ma la tendenza è al ribasso. Basti pensare che si tratta del saldo peggiore dal 2005 ad oggi e che a fronte di spese stabili (22,2 mln come nel 2010) sono crollati i ricavi: 46 milioni di euro, mai così in basso negli ultimi sette anni, 17 milioni in meno rispetto a dodici mesi fa. Soldi che mancano in bilanci già ampiamente in sofferenza.

Giovanni Capuano