venerdì 10 febbraio 2012

Il doping che rovina la cartolina di Madrid


 di Giovanni Capuano


Le allusioni contenute nello sketch di Nadal dopato alle prese con il 'pieno' della sua auto erano oggettivamente pesanti, tali da giustificare una presa di posizione dura da parte dello sport spagnolo. La 'guerra de los guinoles' come è stata ribattezzata dai quotidiani iberici (dove 'guinoles' sta per 'burattini') è però l'ennesima conferma che lo sport in Spagna non è capace di provare a fare autocritica sul tema delicato del doping.

Lo ha scritto anche 'La Gazzetta dello Sport' commentando gli applausi ripetuti dei giornalisti di casa durante la conferenza stampa in cui Contador spiegava al mondo di aver subito una grande ingiustizia per essere stato squalificato 565 (!) giorni dopo il ritrovamento di clenbuterolo nelle sue urine. Una squalifica - va detto con chiarezza - dura perché gli toglie i successi di due stagioni e lo priva della possibilità di correre il prossimo Tour e l'Olimpiade di Londra - ma che non è nulla rispetto al fermo effettivo per due anni cui sono andati incontro molti suoi colleghi e che per uno sportivo professionista rappresentano un'incognita sulla strada della ripresa. 

Contador farà solo delle vacanze un po' più lunghe e può permettersi di presentarsi al mondo con la faccia della vittima sacrificale. Una scena purtroppo già conosciuta in Spagna dove importanti inchieste giudiziarie e operazioni di polizia sono finite in un porto delle nebbie. Sull'Operaciòn Puerto del 2006, ad esempio, continua ad aleggiare il sospetto del coinvolgimento di sportivi di altissimo livello anche al di fuori del mondo del ciclismo. E la riabilitazione della campionessa mondiale di atletica Marta Dominguez a colpi di cavilli e prove non utilizzabili a meno di due anni dall'Operacion Galgo (leggi http://calcinfaccia.blogspot.com/2011/07/la-lotta-al-doping-e-i-misteri-del.html) con coro di consensi acritici al seguito, non ha certamente migliorato la fama spagnola nel mondo.

Se in giro si sono fatti l'idea che a Madrid e dintorni il tema-doping non sia stato preso con la stessa serietà che a Parigi o Roma (solo per fare due esempi) la colpa è degli stessi spagnoli che ora se ne lagnano. I successi dello sport iberico sono forse l'ultima cartolina della corsa senza freni di un Paese che sognava di scalare le classifiche economico-sociali e che invece è stato travolto in pieno dalla crisi e ha un tasso di disoccupazione a due cifre che fa spavento. Curiosamente è la cartolina che oggi 'Marca' pubblica a tutta pagina rivendicando che non si tratta di 'marionette' e riversando sugli odiati francesi sospetti e veleni di doping veri o presunti del passato come il caso del tennista Yannick Noah. 

Posizione comprensibile ma ancora una volta pericolosamente autoassolutoria. Possibile che le riflessioni sul doping debbano sempre e solo venire da fuori? Che il 'doping amministrativo' rappresentato dalla diversa fiscalità sia stato tollerato in Spagna come un fatto acquisito quando è stato evidentemente per lungo tempo un insopportabile privilegio competitivo? Che i pochi atleti puniti, seppure dopo un tortuoso e iper-garantista percorso giudiziario, debbano essere preservati come vittime e non chiamati a rispondere delle proprie responsabilità? 

Il modello spagnolo non esiste da tempo. Il calcio - al di fuori dell'oasi rappresentata da Real Madrid e Barcellona - è sull'orlo del crac come dimostrano le decine di squadre in 'legge concorsuale'. Altri campionato hanno fatto fatica a raggiungere il numero minimo di partecipanti. Una bolla si spera solo finanziaria che sta esplodendo. Ma se qualcuno si fa domande anche sul doping che nessuno si stupisca.

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