mercoledì 2 novembre 2011

Cassano e gli altri: quando il campione si scopre vulnerabile


Non tutti hanno avuto in sorte una seconda opportunità. C'è chi su un prato verde, sotto gli occhi impietosi di una telecamera, ha lasciato la vita come l'indimenticato perugino Renato Curi, il camerunense Foé o, più recentemente, il giovanissimo spagnolo Antonio Puerta. Caduti sul campo perché davanti alla morte tutti siamo uguali, anche i campioni che sembrano invincibili e, invece, possono cadere e non rialzarsi più. C'è chi ha potuto tornare a una vita normale ma non allo sport. Lionello Manfredonia venne salvato da medici rapidi e preparati durante un Bologna-Roma ma non riebbe più l'abilitazione a giocare. Il nuoto italiano versò fiumi di lacrime per Domenico Fioravanti, due volte oro a Sidney e poi bloccato da una malformazione bastarda. E come dimenticare lo scioccante annuncio di Magic Johnson, la sua positività all'Aids, oppure il calvario di Jonah Lomu, leggenda del rugby neozelandese. Erano fenomeni. La vita li costrinse a misurarsi col dolore.

Altri hanno saputo tornare più forti di prima. Lance Armstrong, sconfitto il cancro ai testicoli, ha conquistato per sette volte gli Champs Elysees. Discusso ma vincente. Abidal, bloccato da un tumore al fegato, capace di sollevare la Champions League a Wembley ad appena quaranta giorni da un'operazione rischiosa e senza certezze. O, ancora, lo sciatore svizzero Carl Janka, in pista una settimana dopo l'intervento per correggere un'aritmia invalidante e poi detentore della Coppa del Mondo, lo spadista Paolo Pizzo, campione del mondo con vista su Londra 2012, che i medici volevano impossibilitato a qualsiasi attività fisica dopo avergli salvato la vita togliendoli un tumore al cervello e la pallavolista Eleonora Lo Bianco, tornata in azzurro dopo aver sconfitto il cancro quarant'anni dopo la celebre Lea Pericoli, poi icona del tennis italiano in rosa.

Qualcuno ha battuto la malattia ma non è più stato quello che era o che sarebbe potuto essere. Nessuno rivide più il Ronaldo che faceva innamorare dopo il misterioso malore alla vigilia della finale mondiale del '98. Vinse tutto ma senza mai scrollarsi di dosso l'immagine della sua discesa, incerta e zoppicante, dalla scaletta dell'aereo che lo riportava a casa. Anche Kanu continuò a giocare e la sua vita aveva rischiato di fermarsi all'incrocio con un banale controllo medico di routine: aritmia alla valvola aortica. Morandotti fu più forte dei dubbi dei medici, ma per ben due volte dovette fermarsi e perdere chissà cosa.

Il caso di Cassano, lo choc di vedere un giovane atleta aggrappato a un pullmino in cerca di parole e gesti che faticano a fluire normali, riporta alla memoria tante storie di sport e vita vissuta. Due volte è accaduto a Milanello e dintorni: la testimonianza di Gattuso è ancora negli occhi di tutti e trent'anni fa fu addirittura Franco Baresi a finire su una sedia a rotelle completamente privo di forze. Lo aveva colpito un virus misterioso, tornò a camminare e a essere Franco Baresi dopo tre mesi di dubbi e paure. Non sempre succede, ma scoprire che anche i campioni possono misurarsi con la malattia li rende per una volta più umani e vicini.

Giovanni Capuano

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