mercoledì 4 gennaio 2012

La Spagna non è più il paradiso fiscale del calcio: a rischio i campioni di Real e Barca





Era il paradiso fiscale dei calciatori di tutto il mondo, il paese con una fiscalità così conveniente da essere stata studiata apposta per attirare i cervelli in fuga all’estero e pazienza se, nell’esercito dei beneficiari, c’erano anche i piedi nobili dei fuoriclasse strappati alla concorrenza europea. C’era una volta la Spagna della Ley Beckham, quella speciale deroga concessa nel 2003 dal governo Aznar in base alla quale i redditi prodotti in Spagna da lavoratori stranieri venivano tassati al 24%, poi trasformato in 25%, per i primi sei anni di permanenza. Una legge che ha consentito a Barcellona e Real Madrid di fare incetta di campioni facendo leva anche sulla possibilità di offrire ingaggi netti superiori del 25-30% rispetto agli altri maggiori club europei.
Avete presente Galliani che schiumava di rabbia raccontando che difficilmente il Milan avrebbe potuto resistere davanti alla corte del Real per Kakà? Ecco, quello era il prodotto del regime fiscale spagnolo che dal 2010 non esiste più e che adesso, come per una legge del contrappasso, rischia di trasformarsi in un incubo per il Barcellona.

La crisi economica ha costretto infatti il governo ad alzare le tasse facendo leva soprattutto sulle fasce più alte e a partire dal 1° gennaio 2012 i redditi oltre i 300mila euro dovranno lasciare allo stato la bellezza del 56% (in Catalogna) e del 52% nel resto del Paese. Un’autentica mazzata che cancella quasi definitivamente gli effetti della Ley Beckham già riformata nel 2010 quando - non con effetto retroattivo - gli ingaggi superiori ai 600mila euro erano stati allineati alle medie europee con aliquote dal 45 al 49 per cento a seconda delle regioni.

La nuova stretta fiscale rischia di costare caro alle società spagnole e in particolare al Barcellona. Il problema è emerso nelle pieghe della trattativa per il rinnovo del contratto del francese Abidal in scadenza il prossimo 30 giugno. Guardiola e Rosell hanno deciso di confermarlo, a patto però che si riduca il suo peso sui conti. E il francese ha sin qui beneficiato della tassazione di favore al 25%. Rinnovarlo costerà al club quasi il doppio in tasse. E lo stesso accadrà - a Barcellona come a Madrid - alla prossima tornata di scadenze.

La Spagna, dunque, smette di essere il paradiso fiscale dei calciotori di tutto il mondo e lascia il primato alla Francia dove l’aliquota massima è del 41% e scatta oltre i 71mila euro. Poco peggio va a Germania e Portogallo dove la tassazione tocca il 42% per le fasce più alte. In Italia l’aliquota per lo scaglione ricco (oltre 75mila euro) è stata confermata dal governo Monti al 43% e può arrivare con le addizionali varie al 45%. Meno di quanto accade ormai in Spagna e meno di quanto accade da tempo in Inghilterra dove Stato e calciatori fanno fifty-fifty (50%) quando i compensi superano le 150mila sterline (circa 170mila euro).

Tralasciando paradisi fiscali più o meno leciti ed esotici, alla fine i più fortunati sono gli atleti professionisti statunitensi. Negli USA, infatti, nessuna aliquota supera mai il 35% e quella massima scatta a partire dai 370mila dollari (260mila euro).

4 commenti:

  1. Se ne deduce che l'Italia è il Paese più benevolo verso gli abbienti e ciò non si configura come un pilastro di equità sociale.

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  2. il nostro problema vero è che fino a quando boateng striscia il piede sotto il ginocchio del portiere e l'arbitro accorda il rigore( e passi, adesso la parola associazione a delinquere è prescritta) ma passa tutto in cavalleria, le moviole tutte(chiarito che non è alla juve che si vuol far vincere il campionato, idea frullata per qualche settimana nei cervelli più impressionabili) provvidenzialmente ammutolite, i giudici sportivi obnubilati, contrariamente al finimondo che letteralmente distrusse a suo tempo krasic( qualcuno di mediaset tra i più imparziali disse "è solo un serbo"), più che di campionato si può parlare di"isola dei palloni tim". ma dove ci presentiamo?

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  3. e come disse pistocchi "pato è solo un brasiliano". il reality infinito continua.

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  4. e rizzoli è solo un arbitro italiano post-calciopoli.

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