venerdì 9 marzo 2012

Anche la NBA cede agli sponsor: via libera ai marchi sulle magliette?


di Giovanni Capuano

Sta per cadere l'ultimo tabù del mondo dello sport, il santuario non ancora violato da sponsor e pubblicità, baluardo estremo di un ambiente che per il resto si è plasmato sui bisogni di tv e media così tanto da cambiare le sue stesse regole. Dal mese di aprile potrebbe arrivare il via libera alla presenza di marchi commerciali sulle magliette delle trenta franchigie della Nba. Una rivoluzione che segue di pochi mesi la durissima trattativa tra giocatori e proprietari per la spartizione dei ricavi del basket americano che ha prodotto la cancellazione di una parte importante della stagione e, soprattutto, fatto capire con chiarezza che i tempi delle vacche grasse sono finiti anche sui luccicanti parquet statunitensi.

E' per questo che il Board of Governors (in pratica l'assemblea dei proprietari delle franchigie) si riunirà il mese prossimo per discutere dell'ipotesi ed eventualmente decidere. Sul tavolo ci sarà l'esperienza giudicata positiva da parte della WNBA (la NBA femminile) che già dal 2009 ha aperto agli sponsor: "Non dico che la questione sia semplice, ma la trovo inevitabile. Dobbiamo solo trovare un accordo sul valore" ha spiegato Rick Guardoli, presidente dei Golden State Warriors e promotore dell'accordo di tre anni fa. Già il valore delle sponsorizzazioni nella NBA.

Quanto può costare mettere il proprio marchio sulle magliette storiche dei Celtics o dei Lakers? Veri e propri simboli dello sport mondiale che nel corso dei decenni sono rimaste praticamente identiche a se stesse resistendo a tutte le mode. Qualche termine di paragone lo si può prendere dal calcio europeo dove violare il santuario della camiseta blaugrana del Barcellona è costato alla Qatar Foundation 150 milioni in 5 anni e ancora meglio ha fatto il Manchester United (35 milioni di euro a stagione da Aon). O dove il Real Madrid prende 25 milioni di euro all'anno dall'agenzia di scommesse online Bwin.

Secondo alcune stime il valore delle magliette NBA si aggirerebbe intorno ai 23 milioni di euro medi ad annata con forti differenze tra le società più seguite e gloriose come Boston Celtics e Los Angeles Lakers e le piccole. Uno squilibrio che i critici temono possa arrivare anche a scavare un solco insostenibile tra franchigie tradendo lo spirito originario della Lega in cui - sin a partire dal sistema delle chiamate - il tentativo è sempre quello di mantenere limitato il gap tra i più forti e i più deboli. In ogni caso si parla di possibilità di introiti da subito per quasi 700 milioni di euro nettamente superiore ai 4 miliardi di euro per 11 anni che l'Adidas si impegnò a versare nel 2006 per strappare alle concorrenti l'esclusiva della fornitura del materiale tecnico per tutte le squadre senza però ottenere visibilità col proprio logo sulle maglie.

La scelta dei proprietari di aprire agli sponsor sta dividendo il mondo del basket Usa. COntrari i tifosi, già schierati contro le franchigie nelle settimane del lock out e della dura trattativa con i giocatori. Pesa la tradizione tutta di stampo anglosassone per cui è impensabile dover spendere cifre importanti (un biglietto per i Lakers allo Staple Center costa da 99 a 545 dollari) per andare a vedere squadre sponsorizzate. Però il dado è tratto e difficilmente la riunione di aprile non si concluderà con una svolta storica.

Le ragioni della crisi non ammettono deroghe come anche l'esperienza europea del Barcellona dimostra. Nell'era dello sport iper-professionistico è impensabile che icone mondiali come sono le casacche NBA restino prive di valorizzazione economica. Per il romanticismo ripassare più tardi.

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