venerdì 24 giugno 2011

I nuovi allenatori delle big e la nostalgia di Lippi, Capello, Ancelotti e Cuper


Meno male che ci sono Mazzarri e Guidolin che, al contrario dei loro colleghi non hanno mai avuto e una chance su una panchina di una big, ma che da soli hanno collezionato più presenze in Europa di tutti gli altri tecnici della pattuglia italiana al via della stagione di coppe messi insieme. Senza i 18 gettoni dell’allenatore dell’Udinese (8 con il Vicenza nel 1997-98, 8 con il Monaco nel 2005-06 e 2 con l’Udinese 1998-99) e di quello del Napoli, Allegri, Gasperini, Pioli, Luis Enrique e Reja tutti sommati arriverebbero a mala pena allo stesso curriculum dell’imberbe Villas Boas (17 panchine con il Porto vincitore dell’Europa League) di cui si è anche scritto, con una certa dose di coraggio, che non vale i soldi spesi dal Chelsea perché inesperto a questi livelli. E a questi si deve aggiungere la scommessa juventina di Antonio Conte, pure lui a digiuno di grandi palcoscenici.

Il dato è sorprendente ma racconta forse più di ogni altro perché il prossimo sarà davvero l’anno zero del calcio italiano in Europa. Non era mai accaduto che ci presentassimo ai nastri di partenza con tecnici di curriculum così poveri. Noi, che per anni ci siamo vantati di essere capaci di sopperire alla maggior fisicità dei nostri avversari proprio grazie alla scuola dei nostri allenatori. Dietro Mazzarri e Guidolin, che è l’unico ad aver giocato una partita europea in primavera essendo stato alla guida del bellissimo Vicenza eliminato dal Chelsea di Vialli e Zola nella semifinale di Coppa delle Coppe (1-0 in casa e sconfitta 3-1 a Stamford Bridge il 16 aprile 1998) e che vanta anche una Coppa Italia e un campionato di serie B, ci sono tre debuttanti assoluti (Pioli, Luis Enrique e Conte che pure non partecipa a coppe), Reja (4 presenze con il Napoli 2008-09 più l’Intertoto), Gasperini (5 presenze con il Genoa) e Max Allegri.

Proprio Allegri, tecnico del Milan campione d’Italia, rappresenta il termine di paragone più vicino. Ha vinto lo scudetto al primo colpo, ma in Europa non è emerso (8 presenze e solo 2 vittorie entrambe contro l’Auxerre) con il sospetto fondato di non essere stato capace di regalare qualcosa in più alla sua squadra, compresa la sfortunata notte di San Siro con i rossoneri allo sbaraglio contro il Tottenham e puniti in contropiede. Del resto Mourinho lo aveva sottolineato a inizio stagione con lo sprezzante Non capisco che rivalità possa esserci fra un allenatore che ha vinto due Champions e uno che in Champions ha giocato due partite” pronunciato a ottobre prima della lezione del Bernabeu.

Dunque alla stagione che deve assolutamente essere quella del riscatto e dell’inversione di tendenza ci presentiamo con una pattuglia a voler essere generosi di inesperti. Gente che deve maneggiare decine di milioni di euro da cui dipendono bilanci e futuro delle rispettive società, se si vuole tralasciare l’aspetto sportivo della competizione. Sarà forse l’effetto-Guardiola per cui dietro ogni allenatore giovane c’è un potenziale fenomeno. O più probabilmente una delle facce dell’austerity e del ridimensionamento del nostro calcio. Tanto per guardare indietro nel passato, nemmeno trent’anni fa, dopo lo tsunami del Calcioscommesse, avevamo osato tanto: Bersellini, Trapattoni, Radice e Liedholm (tecnici di Inter, Juventus, Milan e Roma) mettevano insieme un centinaio di panchine europee, 6 scudetti, 4 Coppe Italia e una Coppa Uefa. Deci anni più tardi (stagione 1991-92) il curriculum del solo Trapattoni bastava per tutti ma, in ogni caso, lo scortavano il romanista Ottavio Bianchi (già scudettato a Napoli) e Fabio Capello, catapultato alla guida del Milan che era stato di Arrigo Sacchi. L’incognita era Orrico e, infatti, l’Inter fallì. Inutile tentare paragoni con il 2002-2003, l’anno d’oro dell’Italia in Europa. Milan vincitore della Champions davanti a Juventus e Inter, Lazio semifinalista in Uefa. Gli allenatori delle sette italiane (Ancelotti, Lippi, Cuper, Capello, Mancini, Prandelli e Delneri) contavano allora in bacheca 26 titoli nazionali o internazionali e c’era chi – come Cuper – era reduce da tre finali europee consecutive seppure perse con Maiorca e Valencia. Quella era la serie A più bella del mondo. Sei allenatori italiani e un solo straniero ma emergente. Giovani alla guida di realtà rampanti come Lazio e Parma e tecnici affermati sulle panchine più illustri. Centinaia di presenze nelle coppe. Sembra passato un secolo, sono solo nove anni, ma il rischio che la nostra sia una scommessa a perdere è più che concreto.

Giovanni Capuano


Nessun commento:

Posta un commento