sabato 28 maggio 2011

Guardiola il perbenista e la rincorsa agli inutili record



Tifare Barcellona e dire che Pep Guardiola è il migliore è rock. Lasciarsi trascinare dal calcio antico del ManU di Ferguson è lento. Il credo barcelonista è rock, la normalità degli inglesi è lenta. Le geometrie di Xavi e le magie di Messi sono cool. Le corse un po’ sgraziate di Rooney e la classe da pub di Giggs meno alla moda. Ma a noi piace dire che tra la finta modestia di Guardiola e le spigolosità di Ferguson sono meglio le seconde e che nella finale di Wembley è abbastanza chiaro chi sia l’allievo e chi il maestro. Basta dimenticare gli eccessi del catalano (che sta vincendo tutto spinto da un gruppo eccezionale e dalla potenza politica di un club unico al mondo) e concentrarsi sull’unicità dello scozzese. A inizio carriera fu capace di costruire dal nulla il cliclo dell'Aberdeen: 3 scudetti, 4 Coppe di Scozia 1 Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea in  un movimento in cui negli ultimi 46 anni solo quattro volte il titolo non è andato a una delle due squadre di Glasgow. E quando sedette sulla panchina dell’Old Trafford nel novembre del 1986 lo United non vinceva un titolo nazionale dal ’65 e uno europeo dal ’68. Era passato attraverso l’onta della retrocessione e si cullava nel ricordo struggente della tragedia che aveva cancellato l’epopea dei Busby babes. In venticinque anni Ferguson ha conquistato tutto: 12 campionati, 18 trofei in Inghilterra, 2 Champions League (e due finali perse), 1 Coppa delle Coppe, 2 Supercoppe Europee e 2 Coppe Intercontinentali. Messi tutti insieme fanno 38 titoli in 25 anni. Anche a volerli misurare così sono una montagna che il catalano difficilmente riuscirà a scalare. E senza dimenticare che in un quarto di secolo Ferguson ha anche allevato e salutato, senza per questo smettere di vincere, fenomeni come Keane, Beckham, Cristiano Ronaldo e Tevez. Gli ultimi due, per intenderci, c’erano la sera della finale persa a Roma contro Guardiola che da quel giorno, invece, ha potuto permettersi di buttare via Eto’o, sostituirlo con Ibrahimovic e alla fine impuntarsi per prendere Villa facendo bruciare ai soci del Barca qualcosa come una novantina di milioni di euro mentre Sir Alex si è dovuto reinventare vincente con Berbatov e El Chicharito Hernandez. Anche per tutto questo il sorriso rubizzo di Ferguson e la sua caparbia nel non arrendersi al tempo che passa a noi piacciono più del perbenismo di Guardiola. Uno che quando gli chiedono se il suo Barcellona sia la squadra più forte di tutti i tempi non risponde “Ehi amigo, che dici? Hai visto cosa hanno combinato i Diavoli di Manchester?” ma cita il Milan di Sacchi e il Santos di Pelé, il passato che non può fargli ombra. Che non ha speso una parola per stigmatizzare gli eccessi dei suoi al Bernabeu ma ha lasciato che lo vestissero da vittima. E che finge di schermirsi quando gli citano il record da strappare a Mou, la firma più giovane sul doblete in Champions. Un record inutile, buono per il marketing. Ne riparliamo tra 22 anni quando anche Pep, come Alex, sarà passato tra alti e bassi, vittorie e cicli da ricostruire senza ripetere come un mantra che gli allenatori possono resistere in un club “tre o al massimo quattro stagioni”. Lo vada a chiedere a Ferguson se è proprio così.

Giovanni Capuano

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