mercoledì 21 marzo 2012

I record di Messi e il paragone con Jordan


di Giovanni Capuano

Gli aggettivi li avevano finiti da tempo e così si sono limitati a celebrare l’ultima impresa 
di Leo Messi con l’unico termine a disposizione che potesse essere adeguato: ‘Storico’. Non hanno esagerato. Difficile non cercare iperboli per raccontare il nuovo record del giocatore che, a soli 24 anni d’età, si candida per essere ricordato come il più forte di tutti i tempi. Una macchina perfetta di gol, classe, emozioni. Un artista che la gente del Camp Nou ha adottato quando era ancora bambino e che oggi si gode. “E’ il migliore di tutti e domina questo sport come solo Jordan è stato capace di fare con il basket” ha detto ieri Guardiola dopo avergli visto dipingere la settima tripletta stagionale (cui aggiungere una manita, un poker e otto doppiette) contro il Granada.

Un paragone che schiaccerebbe chiunque. Non Messi. La tripletta contro il Granada lo ha proiettato direttamente nella storia del Barcellona. Da ieri sera infatti la Pulce è il giocatore con il maggior numero di reti in azulgrana. Prima di lui c’era Cèsar Rodriguez che si era fermato a quota 232 negli anni Cinquanta. Ora c’è Messi che è giunto a 234 e certamente non si fermerà qui perché la sua carriera, già gonfia di trionfi personali e di squadra, è ancora lunga.

In fondo Messi ha impiegato solo 6 anni 10 mesi e 20 giorni per cancellare il suo predecessore: dal 1° maggio 2005, data del primo gol contro l’Albacete (aveva 17 anni 10 mesi e 7 giorni, anche quello un record poi battuto da Bojan) quando girava in prima squadra da poco più di un anno con le stimmate del predestinato, a ieri sera. Difficile porgli limiti. Sta vivendo la miglior stagione della sua carriera: 52 partite totali e 59 gol (uno ogni 76 minuti), capocannoniere della Liga (34 gol in 27 partite) e della Champions League (12 reti in 7 presenze). Decisivo ovunque.

Giusto per far capire cosa attende il Milan nel doppio confronto degli ottavi di finale, l’argentino va in rete da sette gare consecutive e solo in questo breve margine di tempo ha trovato la via della porta 17 volte. Numeri che da soli giustificherebbero una stagione più che sufficiente di un centravanti ovunque e che per Messi sono solo il bilancio del mese di marzo. Magie disegnate prevalentemente con il piede sinistro (38), con pallonetti, cucchiai, slalom e persino di testa se serve. Così ha sigillato la finale di Champions a Roma nel 2009 contro il Manchester United.

In Argentina si crucciano del suo rapporto difficile con la nazionale, però oggi lo celebrano come solo con Maradona di cui porta il ‘10′ sulle spalle anche se il ruolo che gli ha inventato Guardiola e che lo ha consacrato è diverso: Messi gioca da ‘finto 9′, vive come un animale da area di rigore e obbliga chi gli gira intorno a lasciargli gli spazi necessari per cercare la via della porta. Non è una presenza semplice in spogliatoio: chiedere a Ibrahimovic con il quale non legò mai.

A Madrid, se potessero, gli vieterebbero di circolare. Le sue vittime preferite sono infatti l’Atletico (18 gol in 14 partite) e il Real (13 gol in 18 partite). Contro le italiane? Non benissimo: una rete al Milan (su rigore) e basta. Rimase a secco nella sfide contro l’Inter di Mourinho nell’anno del Triplete e anche contro l’Udinese nella Champions del 2005. Incredibile a dirsi ma la Pulce sembra soffrirci. E allora non resta che attaccarsi a questo dato per immaginare un finale diverso.

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