Al tavolo per chiarire cosa davvero sia successo con Calciopoli e perché Inter e Fiorentina (“due società amiche che condividevano gli stessi principi e gli stessi valori”) siano state divise, nelle parole di Diego Della Valle, da “destini diversi” sarebbe utile che la Figc, lo stesso Della Valle e magari Lotito invitino anche Cosimo Maria Ferri. Il suo nome entrò nelle cronache dell'estate 2006 come 'amico' cui il presidente della Lazio faceva rivelazioni scottanti al telefono. Era un componente della commissione vertenze economiche della Figc. Un dirigente federale, insomma, e come tale deferito dal procuratore Palazzi perché, pur a conoscenza di diverse delle circostanze al centro dell'inchiesta, non si era mai sognato di denunciarle alla giustizia sportiva. Tra queste anche la confidenza sulla presunta proposta di combine avanzata da Diego Della Valle a Claudio Lotito in previsione della sfida tra Lazio e Fiorentina del 22 maggio 2005.
Al processo, però, Cosimo Maria Ferri non ci arrivò perché decise di dimettersi dalla carica e restituire la tessera rendendo così inutile ogni procedimento disciplinare nei suoi confronti. La CAF ricevette la sua memoria difensiva il 26 giugno 2006, ne prese atto e lo estromise dal dibattimento dal momento che, essendosi dimesso dopo l'instaurazione del procedimento stesso, Ferri “... era incorso in modo definitivo nel divieto di far parte dell'ordinamento sportivo in ogni sua articolazione”. Una specie di prescrizione sportiva. Una pietra tombale su ogni atto che potesse riguardarlo.
Quella presunta combine rimase solo sulla carta del procuratore Palazzi. La CAF la giudicò provata e la mise a fondamento della condanna alla serie B della Fiorentina. La Corte Federale ribaltò il verdetto sostenendo che non si era raggiunta la “prova sicura e chiara” della commissione dell'illecito. Ma la stessa Corte ricordò nero su bianco che a causa dell'estromissione dal processo di Cosimo Maria Ferri e delle sue verità era “... venuto a mancare al processo un prezioso contributo probatorio”. Probabilmente non sarebbe stato sufficiente a Palazzi per convincere anche i giudici di secondo grado che la Fiorentina meritava la serie B, però è certo che Della Valle e la sua società (così come la Lazio) si avvantaggiarono del silenzio di Ferri.
Oggi che si vuole chiarezza sarebbe carino ascoltare anche lui insieme ad Auricchio, Rossi e Moratti, al quale si chiede di rinunciare alla prescrizione per non compromettere la propria reputazione personale. Giova però ricordare che lo stesso Diego Della Valle cercò in tutti i modi – legittimamente – di sfilarsi dal processo sportivo non riuscendoci. I suoi legali presentarono una memoria il 26 giugno 2006 in cui si appellarono alla sua indeferibilità perché “socio onorario e non soggetto tesserato”. Tesi rigettata sia dalla CAF che dalla Corte Federale, la quale gli chiese la visura camerale della Fiorentina 2004 e spiegò come DDV, proprietario di 7,2 milioni di azioni (su 8 milioni) della Diego Della Valle Spa a sua volta socio di maggioranza della Fiorentina era certamente “in grado di determinarne le scelte” e, dunque, “era tenuto all'osservanza dello Statuto e delle norme federali” e non poteva “non essere non responsabile della loro eventuale violazione”. Un po' come se Moratti, oggi, affermasse che nell'Inter di quell'epoca di cui era mero azionista di riferimento faceva tutto Facchetti e lui non contava nulla. Seguendo la logica di Della Valle anche il numero uno nerazzurro non avrebbe titoli per essere processato. Con o senza prescrizione.
Giovanni Capuano
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