mercoledì 31 agosto 2011
L'ossessione della 'manita' e la noia da Torneo dell'Amicizia
A costo di deludere la maggioranza non ce la sentiamo di unirci al coro di chi, guardando le partite del fine settimana in Spagna, ha provato invidia per lo spettacolo. Vi sono piaciute davvero la passeggiata del Barcellona su quella che dovrebbe essere la terza forza della Liga e la sestina del Real? A noi no e ci è suonato un campanello d’allarme di fronte alla prospettiva di week end di goleade che annoiavano anche ai tempi del Torneo dell’Amicizia all’oratorio. Siamo, però, rassegnati. Almeno in Spagna non c’è speranza di salvarsi. E’ così da quasi un lustro e sarà così anche per gli anni a venire se nessuno interverrà per cercare di colmare il divario tra i due giganti e il resto della pattuglia. Per dare un’idea dei brividi che sa regalare la Liga basti ricordare che Barcellona e Real si sono spartiti 7 degli ultimi 8 campionati e che l’hanno fatto lasciando a distacchi abissali i terzi incomodi: -22 la distanza media tra prima e terza e -29 quella con la prima esclusa dalla zona Champions. Avendo qualche euro da scommettere punteremmo tutto sull’accoppiata, investimento poco redditizio ma sicuramente più garantito di qualunque bond in circolazione. Anche perché, tolta la guerra dei ‘clasicos’, il resto assomiglia a una lunga discesa.
Nelle ultime due stagioni Barcellona e Real hanno vinto in media un terzo delle partite giocate con almeno 3 gol di scarto. Un’enormità in un torneo che – mostri a parte – per il resto è allineato sulle medie del resto d’Europa dove il successo largo è un evento che si realizza con percentuali di gran lunga inferiori: 17% in Spagna, 12,5% in Inghilterra, 15,5% in Germania e 9% in Italia e dove anche le big passeggiano con meno frequenza sul resto dei concorrenti. Il week end scoppiettante dei due Manchester, ad esempio, è una rarità nella Premier League dove lo United e il Chelsea (le dominatrici degli ultimi due campionati) hanno vinto largo solo il 18% delle partite giocate. In Bundesliga la media scende al 14,7% e anche il Bayern Monaco si ferma a una su quattro. Da noi neanche l’Inter dei record di Mancini del torneo post-Calciopoli si è avvicinata ai numeri spagnoli: vinse di goleada solo 4 partite su 38 e negli ultimi due campionati le duellanti per il titolo si sono fermate all’11,8%.
Qual è il modello migliore? Vista la crisi che sta attraversando il calcio spagnolo e di cui abbiamo avuto modo di scrivere in questi mesi (http://calcinfaccia.blogspot.com/2011/08/la-crisi-che-avanza-e-le-maglie-senza.html sulla fuga degli sponsor e http://calcinfaccia.blogspot.com/2011/06/se-anche-lo-sport-spagnolo-entra-in.html sulle difficoltà di tutto lo sport a Madrid e dintorni) ci sentiremmo di escludere che il modello da imitare sia proprio quello. Non a caso la Liga sta copiando il peggio dagli altri in tema di invadenza delle televisioni e si sta rintanando in un eterno e ripetitivo ‘clasico’ per regalarsi una dose di adrenalina.
Cercando un metro di paragone si scopre che la Champions League nell’ultimo decennio ha viaggiato su numeri più ‘italiani’ che ‘spagnoli’. Prendendo in considerazione le edizioni dal 2001 al 2011 solo 197 delle 1314 partite delle fasi a girone o ad eliminazione diretta si sono chiuse con tre o più gol di scarto: il 15%. Certamente una parte importante del suo fascino e di conseguenza della sua ricchezza dipendono anche dall’estrema incertezza sull’esito della competizione; nello stesso arco temporale hanno sollevato la coppa ben 7 squadre diverse e giocato la finale 13 formazioni espressione di sei campionati differenti. Attenzione, però, perché anche in Europa il campanello d’allarme è suonato. L’ultima Champions vinta dal Barcellona è stata di gran lunga quella meno equilibrata: 30 partite su 125 chiuse in goleada (24%), addirittura una dozzina con quattro o più gol di scarto. Merito (o colpa) della rivoluzione voluta da Platini che ha riportato nel tabellone principale realtà di secondo livello estromettendo la borghesia dei campionati maggiori. Però la tendenza è da tenere sotto osservazione se, come il mercato ha confermato, anche in epoca di fair play finanziario a spendere sono sempre i soliti e si sta allargando la platea di quelli obbligati a fare cassa e impoverirsi. Se, insomma, la differenza tra la prima della Liga e la terza in Italia (Napoli) è quella fotografata dalla ‘manita’ del Gamper non è detto che sia una buona notizia per il calcio europeo.
Giovanni Capuano
lunedì 29 agosto 2011
Da Raiola e Polenta a Downing e Sabatini: le grandi domande sul calciomercato 2011
Il nostro è un grido d’allarme che speriamo non rimanga inascoltato. Abbiamo trascorso l'estate compulsando nervosamente i giornali, non ci siamo persi un minuto delle trasmissioni tv, siamo rimasti appesi alle labbra di opinionisti, esperti e procuratori. Eppure alla fine ci sono nove domande alle quali non abbiamo trovato risposta. C’è qualcuno in grado di aiutarci?
Che fine ha fatto Mino Raiola?
Ci eravamo abituati a sentirlo esternare anche più dei politici italiani che pure non sono soliti nascondersi davanti a una telecamera. Nell’estate 2011, invece, il pizzaiolo napoletano ha giocato a nascondino. Negli archivi ce ne sono tracce che risalgono a luglio, quando fu ipotizzato un suo ruolo nel tentativo di portare Hamsik al Milan. De Laurentiis l’aveva invitato a circolare altrove e lui, evidentemente, deve averlo preso in parola. Poi più nulla con l’eccezione di una particina nel passaggio di Romero alla Samp. Che fine ha fatto? Lo (rim)piangono inconsolabili i giornalisti sportivi di tutta Italia.Chi ha scelto l’allenatore dell’Inter?
A leggere le frasi impietose riservate da Moratti a Gasperini viene da chiedersi se il numero uno di Palazzo Saras sia il presidente dell’Inter o solo uno dei tanti tifosi da bar. Bocciate nell’ordine: la difesa a tre, la gestione di Sneijder e l’utilizzo di Pazzini. Praticamente l’asse portante delle scelte del nuovo tecnico. Come se non fosse nota a tutti la sua predilezione per il 3-4-3 o la tendenza delle sue squadre a uno scarso equilibrio difensivo. Si torna allora ai giorni frenetici dell’addio di Leonardo in giugno e del giro di allenatori sondati per trovare il sostituto. Chi ha scelto Gasperini? Di cosa hanno parlato lui e Moratti nei due vertici prima della firma? E Moratti conta ancora qualcosa nell’Inter o le scelte tecniche e gestionali sono interamente delegate a Branca?
Sabatini ha il numero di cellulare di Luis Enrique?
Domanda legittima dopo aver sentito il tecnico spagnolo rivendicare la scelta di schierare Borriello per un quarto d’ora nel preliminare di Europa League pregiudicando le possibilità di venderlo a un prezzo adeguato. Siccome in tutte le società serie un giocatore in partenza non viene schierato nelle coppe (a meno che i dirigenti di Atletico Madrid, Arsenal e altri in ordine sparso non siano dei dilettanti), e non risulta che Sabatini sia incompetente, il dubbio viene. Perché non ha comunicato al suo allenatore che Borriello non andava schierato? Urge aggiornare la sua rubrica telefonica se, per caso, è andato cancellato proprio il numero di Luis Enrique. Magari si evitano danni futuri, ad esempio sull’asse Totti-De Rossi.
Con quale campione avevano parlato Marotta e Agnelli?
A rivelarlo erano stati loro stessi lo scorso 25 maggio: “Tutti i grandi calciatori che abbiamo sondato hanno dato la propria disponibilità a trasferirsi a Torino ed essere fuori dalla Champions non sarà un problema”. Una roba da sballo per il popolo juventino piegato da una stagione di stenti. Poi sono arrivate le settimane della speranza: Sanchez, Neymar, Tevez, Ribery, Higuain, Nani, Aguero, Rossi, Bastos… Tutti praticamente presi. Tutti rimasti a distanza di sicurezza da Torino tanto che qualcuno, pur ringraziando per l’ottantina di milioni gettati comunque sul mercato (meno solo di Barcellona e ManCity), davanti ai nomi di Estegarribia, Giaccherini, Pazienza e Vidal, ha un po’ arricciato il naso. Che fosse difficile per una società fuori da cinque anni dal giro che conta arrivare a un top player era evidente anche a maggio. Ma visto che Marotta e Agnelli avevano certezze differenti è possibile conoscere il nome del burlone con cui avevano parlato al telefono?
Con chi ce l’ha Diego Della Valle?
Qualcuno ha capito con chi ce l’ha davvero Diego Della Valle? Ha litigato con i tifosi fiorentini, smantellato la squadra, minacciato per l’ennesima volta il disimpegno, assicurato la volontà di rimanere al timone della Fiorentina, recriminato per l’ormai annosa questione della ‘Cittadella viola’. E, soprattutto, attaccato senza tregua l’ex amico Massimo Moratti con termini e argomentazioni che nemmeno il più accanito dei tifosi juventini. Il tutto per una vicenda in cui la Fiorentina e lui, in fondo, sono usciti solo ammaccati passando dalla richiesta di retrocessione e 15 punti di penalizzazione (con radiazione per lui e per il fratello Andrea) a una sentenza definitiva molto più leggera. Perché l’ha fatto? Qual è il vero obiettivo della sua estate calda? Che ruolo vuole disegnarsi DDV nel calcio del futuro?
Ma De Laurentiis non doveva andarsene in Cina per sei mesi?
Una premessa: a noi De Laurentiis piace perché è stato l’unico a non cedere alla tentazione di vendere i migliori monetizzando una stagione memorabile. Siamo quindi tentati di pensare che il Capitan Fracassa che negli ultimi due mesi ha insultato i colleghi presidenti (definiti “Teste di cazzo” al sorteggio dei calendari), sfidato Platini e l’Uefa (ricordate? “la Champions League è solo una messinscena”) e minacciato Blatter (“Voglio convocarlo a Ginevra perché non voglio più dare giocatori alle nazionali. Meglio un’amichevole in India”), sia una controfigura e che il produttore cinematografico abbia tenuto fede alla promessa fatta a inizio estate. Aveva detto che sarebbe andato in Cina per sei mesi a caccia di idee. E se l’avesse fatto davvero lasciando qui un sosia…
Quanto è costato davvero Alexis Sanchez?
42, 37 o 26 (più bonus)? Quanto è costato davvero il cileno al Barcellona? La versione più accreditata è la terza, ma siccome circolano con insistenza anche le prime due sarebbe carino capire quale sia la verità. Non che cambi molto, ma giusto per aggiornare le classifiche dei colpi più dispendiosi dell’estate e capire se Sanchez ne fa parte o meno…
Perché Stewart Downing è stato pagato più di Eto’o?
Già, perché? 22,8 milioni di euro per trasferirsi dall’Aston Villa (9 gol in 63 partite, 29 in 253 in tutta la carriera) al Liverpool. Più dei soldi serviti all’Ahnzi per assicurarsi il camerunense. E dire che in Inghilterra di Downing si è discusso perché i tifosi ritenevano ingiustificata la sua convocazione in nazionale accusando McLaren di chiamarlo sono in virtù di un’antica amicizia…
Diego Polenta, chi è costui?
Se il Barcellona è disposto a spendere 6 milioni di euro su un diciannovenne vuol dire che vale. Se alla fine invece di andare sulle Ramblas ti ritrovi a Bari Vecchia (in prestito) significa che, forse, qualcuno ha scherzato. La storia del difensore uruguaiano con all’attivo una presenza in serie A con il Genoa è una delle più misteriose del mercato. Chi non l’ha raccontata giusta? Vale anche per Pandev (regalato misteriosamente al Napoli con tanto di ingaggio pagato), Ziegler (ingaggiato e poi scaricato), Caldirola (bloccato da Gasp e poi messo ai margini) e tanti altri…
Giovanni Capuano
domenica 28 agosto 2011
Dopo lo spezzatino tv la crisi 'spegne' anche le radio spagnole
Chi ha avuto la fortuna di ascoltarli difficilmente può dimenticarli. I loro gorgheggi, la musicalità delle parole e l’enfasi con cui per decenni hanno descritto le gesta dei campioni della Liga. La caccia al denaro, che non è caratteristica propria solo dei nostri club, ha messo il silenziatore da oggi alle emittenti radiofoniche, uno degli aspetti più caratteristici del calcio spagnolo. I giornali lo scrivono: senza di loro non sarà più lo stesso. L’embargo è scattato con l’avvio del campionato. I giornalisti delle radio nazionali sono stati tenuti fuori dagli stadi e i loro accrediti ritenuti non più validi. Colpa del rifiuto generalizzato di sottostare al pagamento dei diritti di trasmissione che la LFP (la Lega dei club professionistici spagnoli) ha fissato in una forchetta tra 1 e 3 milioni di euro. Per protesta si sono astenuti dal trasmettere anche i giornalisti delle emittenti regionali e autonomiste che pure, in virtù di una diversa normativa, avrebbero potuto proseguire la loro opera. Solo un club (il Siviglia) ha deciso di tenere aperte le porte del suo stadio ai cronisti radiofonici. Gli altri hanno sbarrato gli ingressi.
In Italia qualcosa di identico è avvenuto una decina di anni fa. Anche allora alla fine si trovò un compromesso perché le radio fecero valere il diritto di cronaca sancito dall’articolo 21 della Costituzione e la Lega Calcio fu costretta ad emanare un regolamento restrittivo ma non del tutto limitativo. Ne seguirono anni di ispezioni, multe e contenziosi. In Spagna le emittenti si fanno forti dell’articolo 20 della loro Costituzione. E’ probabile che alla fine ottengano un passo indietro della LFP sul modello italiano.
Il segnale, però, è negativo anche perché arriva nell’anno in cui le televisioni hanno preso definitivamente il comando sul calcio spagnolo imponendo una versione dello ‘spezzatino’ che i club italiani nemmeno si sognerebbero di richiedere: tre partite al sabato (ore 18, 20 e 22), sei di domenica (ore 12, 16, 18, 20 e 22) e una il lunedì sera alle 21. Il tentativo è riuscire a valorizzare il prodotto ben oltre i circa 600 milioni di euro incassati oggi (e per oltre la metà destinate alle casse di Barcellona e Real) e dare ossigeno a un movimento che rischia di chiudere per debiti. Si punta a quota un miliardo pronti a sacrificare tutto: il rispetto per i tifosi, costretti ad estenuanti slalom tra gli orari delle partite, e anche un pezzetto di storia come le radiocronache. C’è poco da essere fieri, ma per una volta sono gli spagnoli a tentare di copiarci.
Giovanni Capuano
venerdì 26 agosto 2011
Il crollo in Uefa e il nostro provincialismo: 2016, l'anno in cui ne resterà soltanto una
Viene forte il sospetto che i nostri dirigenti-pizzaioli non abbiano ancora compreso la portata della crisi del sistema-calcio. Basta una veloce rassegna stampa dei pensieri di Zamparini, Pozzo, De Laurentiis e Di Benedetto di fronte alle prime brucianti bocciature nelle coppe. Il Palermo si fa eliminare dal temibile Thun (addirittura 186° nel ranking Uefa)? “Non sono arrabbiato né deluso” spiega Zamparini: “La squadra non era attrezzata per competere in Europa”. Come dargli torto se non fosse che questa analisi la potrebbe fare un tifoso al bar e non il presidente della società. Concetto valido anche per l’Udinese buttata fuori dal peggior Arsenal del decennio. Un’occasione gettata al vento tanto evidente da aver messo sotto pressione le granitiche certezze di patron Pozzo. La risposta? “Avevamo i giocatori contati. Nel calcio i contratti si fanno in tre e alcuni giocatori individuati hanno detto no”. Scoperta incredibile, visto che il tetto stipendi in Friuli è un milione di euro e ai dirigenti non è venuto nemmeno in mente di provare a trattenere almeno uno dei big per onorare un impegno storico. Della guerra contro tutti di De Laurentiis meglio quasi non parlare. Dopo aver insultato i colleghi alla formulazione dei calendari della serie A se l’è presa anche con la Uefa definendo la Champions League “una messinscena” e proponendo che siano i club europei ad organizzarsi. A Montecarlo stanno ancora ridendo. Surreale il commento di Di Benedetto dopo il k.o. della Roma contro lo Slovan: “Visti progressi, ci vuole pazienza”. La Roma è uscita contro la 167° squadra del ranking Uefa condannando l’Italia a un ulteriore e certo declassamento nelle classifiche di merito.
Quello che i nostri pizzaioli ancora non capiscono è, infatti, che gli errori di una gestione provinciale li pagheranno loro per primi. Abbiamo iniziato la stagione con choc di aver perso un posto nella prossima Champions League. Non siamo nemmeno a settembre ed è già evidente nei numeri che non riusciremo a difendere l’attuale quarto posto. I 2,214 punti racimolati fin qui ci mettono al 23° (sì ventitreesimo) posto stagionale alle spalle anche delle ‘quotatissime’ Georgia, Bielorussia, Israele e Cipro ma, soprattutto, di Francia e Portogallo che in questo momento ci seguono staccate rispettivamente di 3,827 punti (la Francia) e 4,325 punti (il Portogallo). Considerato il gioco degli scarti che a fine stagione ci penalizzerà ulteriormente, però, il divario è ormai minimo: non più di mezzo punto sui francesi e 2 punti esatti sui portoghesi che nei due anni successivi hanno già la certezza di mangiarci altri 10 punti. Potremmo anche far finta di niente. In fondo anche se scivolassimo (come è certo nell’arco di due anni) in sesta posizione resteremmo nella situazione della prossima stagione con 2 squadre ammesse di diritto al Champions e una impegnata ai preliminari. Invece è bene che cominciamo a fare i conti con Olanda e, soprattutto, Russia. Quando avremo scartato i risultati del 2010, l’anno del Triplete, entrambe saranno praticamente alla pari con noi e, visto l’aria che tira, non è del tutto scontato che da qui ad allora le italiane riescano a far meglio delle russe. Se una delle due ci superasse allora il danno sarebbe enorme perché in Champions andrebbe solo la vincente del campionato e la seconda dovrebbe passare per lunghi e a quel punto difficili preliminari. Potrebbe accadere a partire dal 2016. Sembra una vita ma non lo è. Cinque anni fa eravamo saldamente secondi e nessuno nemmeno immaginava che un giorno saremmo scesi da podio. E’ avvenuto.
Giovanni Capuano
mercoledì 24 agosto 2011
La crisi che avanza e le maglie senza sponsor: allarme in Spagna e Italia
C’è un risvolto della crisi che sta colpendo l’economia che potrebbe causare danni anche al calcio. I primi sintomi si stanno vedendo in Spagna dove a stagione iniziata (anche se lo sciopero sta bloccando il via della Liga) ben 9 club su 20 non hanno ancora trovato uno sponsor da stampare sulla maglia. E non si tratta solo di club minori visto che la situazione sta coinvolgendo anche Valencia e Villareal, che disputeranno la Champions League oltre ad Atletico Madrid e Siviglia ai nastri di partenza dell’Europa League. Dietro a Barcellona e Real Madrid, insomma, c’è il vuoto. Le due superpotenze da sole raccolgono l’80% dei fatturati pubblicitari degli sponsor di maglia spagnoli (30 milioni il Barcellona e 25 più bonus il Real Madrid). Agli altri restano le briciole e per qualcuno nemmeno quelle se è vero che i dirigenti dei quattro club impegnati nelle coppe hanno deciso che non venderanno le loro maglie per meno di 3 milioni di euro.
In Italia? La situazione è migliore ma qualche segnale di preoccupazione c’è. Ad oggi solo tre società non hanno il main sponsor: Bologna, Genoa e Lazio. Per le altre non ci sono problemi e recenti inchieste hanno dimostrato come, malgrado tutto, la nostra Serie A regga. Le sponsorizzazioni garantiscono da sole circa un sesto del fatturato e come introiti siamo alle spalle solo di Premier League e Bundesliga in un mercato che, ancora nella scorsa stagione, valeva complessivamente 470 milioni di euro ed era in costante crescita. A preoccupare è semmai la crisi che sta investendo le banche che in Italia rappresentano il 40% delle sponsorizzazioni totali. Sulle maglie della serie A nella prossima stagione compariranno i marchi di Banca Popolare di Verona (Chievo), Bancapulia (Lecce), Banca Popolare di Novara (Novara) e Mps (Siena). Realtà legate soprattutto ai territori di riferimento senza l’impegno diretto dei colossi del credito come, invece, avviene all’estero e soprattutto in Inghilterra. Sono sponsor che in questa fase economica potrebbero anche decidere di ridurre i loro investimenti nel calcio. Non è accaduto l’anno scorso (112 milioni di euro nei sei campionati maggiori del continente contro i 75 della stagione precedente) ma la crisi sembrava un ricordo lontano. Discorso replicabile per il settore auto.
Tutti guardano al mondo delle scommesse che in un anno sono cresciute come investimenti nel calcio del 48%. La Francia ha liberalizzato la pubblicità nel 2010, la Germania sta cambiando la legge e da noi sono già presenti marchi di grande diffusione come BetClic (Juventus) ed Eurobet (Palermo). La ricetta? Serve grande fantasia. Una strada l’ha tracciata il Manchester United con la sponsorizzazione da 46 milioni di euro della DHL sulle maglie d’allenamento. Non tutti hanno la stessa forza, ma senza colpi di genio il calcio europeo può dover essere costretto a rinunciare a una fetta importante dei suoi introiti.
Giovanni Capuano
lunedì 22 agosto 2011
Sabatini, Marotta, Branca, Pozzo e Zamparini: chi si salva nello sprint del mercato?
Pagelle a una settimana dall'inizio del campionato e poco più alla fine di un calciomercato che ha sancito l'ulteriore impoverimento del nostro calcio. E' stato l'anno dell'addio a Eto'o, Pastore e Sanchez. Il nostro appeal è ormai inferiore non solo a Liga e Premier League, ma anche a Ligue 1 e campionato russo, colpevolmente trascurato negli ultimi anni in cui – al contrario di noi – ha comunque fatto registrare una crescita impetuosa.
MILAN (VOTO 7) Tenuti tutti i big. Lasciato partire Pirlo per alleggerire il monte stipendi che, con grazie alla strategia lungimirante di Galliani, entro due stagioni sarà molto vicino a quota cento milioni di euro. Ingaggiati per tempo e a costo zero Mexes (puntello in difesa), Taiwo (potenziale titolare) ed El Shaarawy. La squadra è più forte della passata stagione. L'ultimo rinforzo (Aquilani) la renderà completa anche a centrocampo. Gioca su uno spartito conosciuto come anche la finale di Pechino e le amichevoli di agosto hanno dimostrato. Logica e solida. Favorita.
INTER (VOTO 5) Il sacrificio di Eto'o sull'altare del bilancio era inevitabile, tanto è vero che prima del camerunense Branca aveva messo sul mercato Julio Cesar, Maicon e Sneijder. Che Eto'o sia stato valutato meno di Falcao, Aguero, Sanchez e Pastore grida, però vendetta. Strategia confusa: Castaignos, Alvarez, Jonathan e Viviano insieme sono costati alla fine la cifra incassata cedendo Eto'o e adesso mancano almeno altri tre giocatori di peso per completare la rosa. Un vice Eto'o? Se l'idea è investire forte su un top player davanti sarebbe meglio pensare al centrocampo e alla difesa che stanno mostrando pericolose crepe che nel caso della mediana sono la conferma di un trend in atto già dal dopo-Triplete. In 360 minuti contro avversari veri l'Inter ha incassato 8 gol; decisamente troppi. La difesa a tre è obbligatoria o Gasperini virerà su quella a quattro sconfessando i primi due mesi del suo lavoro?
JUVENTUS (VOTO 5) E' la media tra il voto a Conte (8) e quello al duo Marotta-Paratici (2). L'allenatore sta dando alla squadra un'impronta chiara e anche piacevole. A tratti la Juventus gioca con furore da provinciale e qualità di livello medio alto. Il suo lavoro rischia, però, di essere vanificato da una strategia di mercato largamente insufficiente. Che senso ha spendere 10 milioni per confinare Vidal all'ala? O prendere Pirlo per farlo giocare in un centrocampo a due? Sul tavolo del mercato è stato buttato un tesoretto da 72 milioni e – parole di Conte – mancano ancora due esterni e un centrale titolare. Non è arrivato il top player. La rosa oggi conta quasi quaranta elementi. Piccolo riassunto di chi deve essere a tutti i costi piazzato: Manninger, Motta, Sorensen, Grosso, Grygera, Ekdal, Almiron, Pepe, Iaquinta, Amauri e Martines. Una squadra che da sola costa 32 milioni di euro lordi in stipendi.
ROMA (VOTO 4) Interessanti gli investimenti su Lamela e Bojan (curiosa formula leasing che priverà però la Roma del giocatore tra due stagioni). Incredibile la leggerezza nel caso Borriello il cui ingresso per 15 minuti nel playoff di Europa League a Bratislava nega alla Roma molte chance di venderlo proprio mentre Sabatini lo metteva sul mercato. Chi decide a Trigoria? E Totti è “centrale nel progetto” come vanno ripetendo i dirigenti o un ferrovecchio da rottamare per far posto ai giovani Caprari e Viviani come da scelte di Luis Enrique?
UDINESE E PALERMO (VOTO 4) Hanno venduto i pezzi pregiati facendo cassa per complessivi 100 milioni di euro. L'Europa ha già bocciato i siciliani e la sfida di Londra più che complimenti dovrebbe suscitare rabbia nei confronti dei friulani. Che senso ha dividere la torta dei diritti tv con questi club se nemmeno così Pozzo e Zamparini si convincono a tentare il salto di qualità? Anche così l'Italia ha perso posizioni in Europa ed evidentemente la lezione non è servita. Sono entrambe meno forti dell'anno scorso.
NAPOLI (VOTO 6,5) Di sicuro non si è indebolito, anzi. Il centrocampo si è rinforzato e la rosa è più lunha e qualitativa. Vista la contemporaneità degli impegni in Champions potrebbe non bastare per ripetere la stagione scorsa, però a De Laurentiis va dato atto di continuare a perseguire un progetto di crescita. Se smettesse di comportarsi da Masaniello...
LAZIO (VOTO 7) E' la più interessante da verificare all'impatto con il calcio vero. Klose e Cissé sono due giocatori di grande livello e che potranno regalare soddisfazioni se Reja riuscirà a cambiare pelle a una squadra abituata a giocare in modo diverso. I primi riscontri sono positivi. Resta il nodo-Zarate. Comunque decida Lotito è destinato a sbagliare: vendendolo perché gli sarà rinfacciato dalla maggioranza dei tifosi, tenendolo perché metterà Reja in difficoltà. Sempre che ci sia qualcuno disposto a spendere per Maurito almeno una quindicina di milioni.
Gli ultimi dieci giorni di mercato correggeranno – forse - alcune di queste incongruenze. Però mai come quest'anno le mosse dei dirigenti delle big sono risultati poco comprensibili. Dovevamo risparmiare cercando soluzioni alternative; ci siamo impoveriti e alla fine il conto sarà comunque salato.
Giovanni Capuano
domenica 14 agosto 2011
I conti della Saras, l'Inter provinciale e il futuro di un club non più cicala
Col passare dei giorni va delineandosi tassello dopo tassello il puzzle della strategia minimalista della nuova Inter. Un combinato di scelte sportive, vincoli finanziari imposti dall'Uefa e difficoltà economiche dell'azionista di riferimento nel continuare a garantire di tasca sua una sopravvivenza in linea con le big d'Europa.
Della coerenza di sostituire Eto'o con Tevez o Forlan, oppure di privarsi di Sneijder si sta discutendo sotto gli ombrelloni di mezza Italia e, dunque, è inutile aggiungere il proprio parere. Sul FPF (Fair Play Finanziario) in molti si stanno ricredendo proprio a partire dall'atteggiamento dell'Inter e non solo. Basti leggere la curva al ribasso del mercato internazionale dove – solo nell'estate del 2009 – i colpi più costosi valevano cifre inavvicinabili (Cristiano Ronaldo 94 mln, Ibrahimovic 68, Kakà 63,5) che negli ultimi ventiquattro mesi si sono notevolmente ridimensionate, tanto da consentire al Barcellona di prendersi Fabregas per una quarantina di milioni (la stessa cifra pagata per Villa un anno fa). Fanno eccezione i nuovi ricchi provenienti dal ricco Medio Oriente senza, però, toccare le vette di due anni fa. A queste cifre, insomma, anche la valutazione del trentenne Eto'o o, per tornare indietro all'agosto 2010, del giovane capriccioso Balotelli non possono essere giudicate un regalo agli acquirenti.
Quello che per l'Inter sta pesando, però, ha forse radici più lontane ben inquadrate da Ettore Livini su La Repubblica. A stringere i cordoni della borsa di Moratti sono anche le difficoltà attraversate da un paio di anni dalla Saras, l'azienda di famiglia che solo settimana scorsa ha chiuso il bilancio del secondo trimestre 2011 con un passivo record da 49 milioni di euro. Come ricostruisce Livini, Massimo Moratti non gode più dal 2009 dei sostanziosi dividendi che gli consentivano di chiudere di tasca sua i buchi del bilancio nerazzurro: 735 milioni di euro nei sedici anni di una presidenza che complessivamente ha registrato perdite per 1,2 miliardi di euro. La ricapitalizzazione da 40 milioni del dicembre scorso a copertura di un rosso da 69 milioni di euro potrebbe essere stata l'ultima fatta senza badare a spese. La crisi mondiale, la riduzione dei margini di guadagno sulla raffinazione del petrolio e, da ultimo, la guerra in Libia stanno gravando molto sui conti della Saras che oggi in Borsa vale poco più di un euro dopo essere stata collocata a sei volte tanto. Una situazione destinata a non esaurirsi a breve termine se è vero che un report di Merrill Lynch del maggio scorso descriveva così le prospettive dell'azienda fondata da Angelo Moratti: “... dopo un 2009/2010 difficile, con un prolungato deterioramento dei margini, Saras attendeva una crescita nel 2011... Noi continuiamo a vedere rischi dovuti alla crisi libica...”.
Se Moratti guarda con attenzione da provinciale ai conti dell'Inter e anche perché in questa fase storica il club deve imparare a camminare con le sue gambe. Certamente una novità per chi era abituato a vivere l'estate in uno stato di perenne euforia. L'esperienza anche recente ha dimostrato, però, che non necessariamente sia un male. Credere di poter ripetere l'affare Ibrahimovic-Eto'o è un miraggio, ma per restare competitivi in Italia potrebbe bastare molto meno.
Giovanni Capuano
venerdì 12 agosto 2011
La coppia Agnelli-Elkann e l'elogio della strategia del Bar Sport
La strategia messa in campo dagli Agnelli come secondo atto della guerra sullo scudetto 2006, frettolosamente giudicata “convincente” da La Gazzetta dello Sport, con l'eccezione dell'unico punto che davvero sta a cuore ai dirigenti Fiat, e cioè il risarcimento dei presunti danni subiti, è stata finalmente tradotta per quella che è da Emanuele Gamba su La Repubblica. “Non si sa se la Juve riavrà gli scudetti ma già il solo fatto di volerli incendia le passioni, allarga il consenso, vela le delusioni degli ultimi anni. E più si alzano i toni, più il gradimento cresce” ha scritto l'inviato a Villar Perosa per raccontare la giornata che una volta era una passerella davanti agli occhi dell'Avvocato e oggi si è trasformata in una fiera di provincia da usare come cassa di risonanza di una guerra di cui tutti gli juventini per primi si dovrebbero vergognare se, come punto più alto, produce striscioni come il “Moggi signore degli Agnelli” visto a bordocampo.
Siamo insomma al Bar Sport. Dopo le minacce, le accuse alla Federcalcio di avere la coscienza sporca e la recita della relazione di Palazzi quasi fosse un mantra, la coppia Agnelli-Elkann ha scalato un altro gradino. Lo scudetto degli onesti trasformato in scudetto dei prescritti e le battute sull'età di Moratti sarebbero di troppo al bancone di un bar, figuriamoci in bocca a due capitani d'industria in erba.
Parole ad uso evidentemente interno (nel senso di mondo juventino) senza che nessuno si sia incaricato in queste settimane, o almeno in queste ore, di spiegare al numero uno della Juventus che di questo passo sarà difficile poter giocare Inter-Juventus e viceversa quando il calendario le proporrà (si inizia il 30 ottobre) e che ogni richiamo al senso di responsabilità per i tifosi suonerà vuoto e ipocrita se un presidente, per primo, si comporta come l'ultimo degli ultrà. Disperiamo che a richiamare Agnelli possa essere la Figc sin qui capace di far trapelare solo un po' di stizza per la tempistica della conferenza stampa a poche ore dalla festa della nazionale a Bari. Come se il resto non fossero problemi di Abete e soci.
La coppia Agnelli-Elkann comunque non sente ragioni. Chi ha seguito la parabola delle sue azioni stenta oggi a capire quale sia il vero obiettivo. La revoca dello scudetto all'Inter? La restituzione come se le telefonate di Facchetti cambiassero davvero la posizione della Juve moggiana? I soldi della Federcalcio? Il confine viene spostato ogni giorno più in là con il dubbio – ma ora è quasi una certezza – che a questa storia non ci sarà mai fine perché, risarcimenti a parte, si tratta solo di una strategia mediatica per far dimenticare al popolo juventino che i nuovi Agnelli non valgono quelli vecchi. Per completare la parabola del presidente-ultrà non resta ora che il rutto (libero) in tribuna durante la partita, uno striscione contro la tessera del tifoso e, in ultimo, una bella rissa con qualche tifoso avversario.
Troppo facile sottolineare come Agnelli quello vero, l'Avvocato, non si sarebbe mai piegato ad argomenti buoni giusto per la discussione davanti a cornetto e cappuccino. Infatti lui il calcio italiano lo comandava e gli bastava una battuta o anche una semplice scrollatina di spalle per far valere i suoi diritti. Andrea no. Lui ha inventato il nuovo stile-Juve. Un misto di arroganza e impotenza. Più impotenza che arroganza a dir la verità, ma evidentemente ai tifosi juventini va bene così.
Giovanni Capuano
lunedì 8 agosto 2011
L'Inter che vende i migliori e le mezze verità di Branca e Moratti
La brutale schiettezza con cui Sneijder ha spiegato che, se succederà, non cambierà squadra per sua volontà ma per un disegno economico dell'Inter, ha sollevato il velo sulle tesi di comodo date in pasto in queste settimane ai tifosi nerazzurri. Sneijder non verrà ceduto perché vuole nuovi stimoli, certezze sul ruolo, un ritocco di ingaggio o chissà cos'altro. Lo farà perché, come ha spiegato lui stesso, “... per l'Inter il denaro è necessario ed evidentemente anch'io sono in vendita per il prezzo giusto”. Punto. Lo stesso vale per Eto'o ed è sospetto il moltiplicarsi di spifferi sulle presunte incomprensioni tra il camerunense e Gasperini che raccontano vicende interne allo spogliatoio e che tali dovrebbero rimanere.
Malgrado le rassicurazioni fornite ancora qualche giorno fa da Moratti, l'Inter non si sta rinforzando né lo farà nelle prossime settimane. Non esiste nessuna ragione tecnica nel sostituire Sneijder con Kucka, Casemiro o qualunque altro nome. E non esiste nessuna ragione tecnica (e nemmeno economica) nel pensare di cedere Eto'o per imbarcare Tevez. L'Inter si sta indebolendo perché costretta dal fair play finanziario e da una gestione pessima o, al meglio, che ha raccolto quanto finalmente poteva senza pianificare troppo il futuro. Non è un caso, ma la radice della malattia, se il monte stipendi supera i 150 milioni di euro mentre, ad esempio, il Milan viaggia verso quota cento.
Le scelte di Moratti sono, dunque, obbligate e dolorose. Il 10 giugno questo blog (http://calcinfaccia.blogspot.com/2011/06/mercato-inter-chi-conviene-che-si-parli.html) aveva già scritto che le voci su fantomatiche offerte per Julio Cesar e Maicon facevano gli interessi dell'Inter. Il tempo si è incaricato di confermarlo. Moratti avrebbe fatto volentieri cassa con i due brasiliani e li ha messi sul mercato. Nessuno ha avanzato richieste se non per Sneijder ed Eto'o. Il prezzo a cui andranno via non sarà quello giusto: 35 milioni l'olandese e una trentina l'attaccante quando Sanchez, Pastore e Aguero sono stati quotati oltre 40. Non è il prezzo giusto ma è la legge della domanda e dell'offerta. La stessa che ha obbligato l'Inter nelle ultime tre stagioni a vendere i pezzi pregiati Ibrahimovic e Balotelli mentre gli ultratrentenni rimanevano al loro posto.
A fronte di questo scenario è troppo chiedere a Moratti di uscire allo scoperto e usare il credito accumulato nel recente passato per spiegare cosa sta succedendo evitandoci il balletto quotidiano di dichiarazioni incrociate e contrastanti tra lo stesso Moratti, Branca e Paolillo? Ancora ieri un infastidito Branca ha risposto ai giornalisti: “Chiedete a Sneijder”. Risposta sbagliata, l'ennesima di questa estate che sta esasperando i tifosi. Che sia lui, insieme al presidente, a sollevare il velo sulle strategie. E' il minimo che devono alla gente. E' il punto di partenza per costruire un nuovo ciclo vincente.
Giovanni Capuano
venerdì 5 agosto 2011
Pizzeria Italia: qualche consiglio per non continare a farsi del male da soli
Qualche consiglio per i dirigenti del calcio italiano che, dopo aver pasteggiato a lungo (non gratis) nei migliori ristoranti del continente, improvvisamente si sono ritrovati nel retrobottega di una pizzeria di quart’ordine. Consigli a costo zero, ovviamente, per evitare ulteriori cattive sorprese. Più che altro l’elenco (parziale) di come anche nelle piccole cose si può riuscire a far danni.
COMPETITIVITA’ IN EUROPA – L’eliminazione del Palermo sorprende solo chi si ostina a non leggere i numeri. Nelle ultime tre stagioni le italiane in Europa sono riuscite a vincere solo un terzo delle 173 partite disputate. Addirittura l’anno scorso hanno fatto peggio: 13 vinte su 52 (il 25%). Perché avrebbe dovuto invertire la tendenza una squadra indebolita dalle cessioni? Benussi, Cetto e Zahavi non sono Sirigu, Goian e Pastore così come Danilo, Doubai e Barreto non sono Zapata, Inler e Sanchez. Prepariamoci a una nuova delusione con l’Udinese e non solo perché l’avversario (l’Arsenal) oggi probabilmente eliminerebbe qualunque squadra italiana. Palermo e Udinese insieme hanno realizzato ricavi da cessioni per oltre 100 milioni di euro. Hanno rinunciato a crescere. Il conto lo paga il nostro movimento, tutto insieme. Va fatto notare che alle cosiddette squadre di seconda fascia non è bastato nemmeno ottenere la tanto desiderata legge sui diritti tv collettivi per pianificare il salto di qualità. A questo punto meglio lasciare Inter, Milan e Juve libere di monetizzare da sole i propri investimenti, gli unici che trainano la serie A. Chiedere a Sky quanto ‘valgono’ in termini di marketing le creature di Pozzo e Zamparini per non parlare della Fiorentina in disarmo di Della Valle. Che almeno l’Udinese, se eliminata, affronti con serietà l’Europa League. Ma se è vero che anche Floro Flores potrebbe finire sul mercato...
PERDIAMO SEMPRE – Piccolo dato statistico dalle amichevoli di luglio. Nei confronti con squadre straniere le nostre di serie A hanno ottenuto 13 vittorie, 6 pareggi e 9 sconfitte. Il bilancio, però, vira sul profondo rosso nel confronto con spagnole (2 sconfitte su 2), portoghesi (1 sconfitta) e inglesi. Bene con le francesi (2 vittorie, 1 pareggio e una sconfitta). Sarà anche calcio che non conta, ma perché anche in amichevole perdiamo quasi sempre noi?
RUGBY ALL’OLIMPICO E LE ROMANE? – Il XV azzurro di rugby giocherà le due partite interne del Sei Nazioni 2012 allo stadio Olimpico. L’idea l’aveva lanciata il presidente del Coni Petrucci, proprietario dell’impianto, nel gennaio scorso ed è diventata realtà il 13 luglio con la garanzia che la Lega era stata consultata e che si sarebbe attivata per “armonizzare il calendario di Roma e Lazio”. Appunto. Le due date in questione sono l’11 febbraio (Italia-Inghilterra) e il 17 marzo (Italia-Scozia). Da escludere la convivenza tra calcio e rugby nelle 48 ore prima e dopo le sfide del Sei Nazioni. Dove e quando si giocheranno Lazio-Cesena e Roma-Genoa? Ecco il calendario ‘armonizzato’ della serie A: a febbraio 5 turni di campionato (di cui uno infrasettimanale), uno di Coppa Italia e 2 di Europa League; a marzo 4 giornate di campionato, una di coppa Italia e 3 di Europa League. A meno che i dirigenti di via Rosellini non abbiano pianificato l’eliminazione europea di Roma e Lazio prima dei sedicesimi si tratta evidentemente dell’ennesimo errore di programmazione dei nostri dirigenti 'pizzaioli'.
58 MILIONI SEDUTI IN PANCHINA – Cosa potrebbero fare Lotito e Marotta con 58 milioni di euro? Molto, quasi tutto. Invece quei 58 milioni di euro sono immobilizzati e rappresentano ad oggi solo un peso nei bilanci di Lazio e Juventus. Incredibile ma vero. La Lazio-bis impegnata a Fiuggi contro la Reggina mentre i titolari giocavano a Villareal costa solo in ingaggi una dozzina di milioni netti. Reja ha cominciato a mettere gente fuori rosa (Kozak, Foggia, Del Nero, Makinwa più qualche giovane), ma se nessuno si compra gli altri come si comporterà Lotito? Ancor più clamoroso il caso della Juventus. Ceduti o prestati Felipe Melo, Sissoko, Traorè e Salihamidzic ne restano da piazzare una dozzina. Secondo i giornali sportivi Marotta pensa di ricavarne almeno 40 milioni di euro. Difficile, anzi impossibile. Tutti insieme costano solo in stipendi 17 milioni netti (34 lordi). Chi si accolla gli ingaggi di Amauri (4,2 netti) e Iaquinta (2,5)? Non si capisce perché, invece di incaponirsi sulla questione degli allenamenti separati che blocca la firma del contratto collettivo e mette a rischio l’avvio del campionato, i nostri presidenti non comincino ad auto limitarsi in modo da non trovarsi nelle condizioni di Lazio e Juventus.
LA NAZIONALE DEI PANCHINARI – Prandelli ci aveva provato ma sin qui nessuno sembra averlo seguito. All’Europeo andranno giocatori impegnati con continuità durante la stagione. Astenersi perditempo. A un mese scarso dalla fine del calciomercato la realtà è che molte delle colonne della formazione azzurra sono poco più che precari di lusso nei loro club. L’elenco? Aquilani e Cassano sono (mal) sopportati, Montolivo (dovunque vada) e Marchisio destinati a fare da comparse, Balotelli in concorrenza con Dzeko, Aguero e un’altra mezza dozzina di attaccanti, Bonucci prossima riserva non appena Marotta riuscirà a mettere le mani su Lugano, Viviano out per infortunio, Palombo e Ogbonna impegnati in serie B. Tra una pizza e l’altra qualcuno si incarica di trovare soluzioni coerenti anche a costo di rimetterci qualche euro? O ci sveglieremo a giugno scoprendo che la nostra nazionale non regge la competizione neanche con la Svizzera di turno?
Giovanni Capuano
giovedì 4 agosto 2011
La mano pesante di Palazzi e i processi in cui l'accusa perde (quasi) sempre
Avviso a tutti quelli che, per commentare il processo sulla vicenda calcioscommesse, hanno evocato stangate e pugni durissimi da parte di Palazzi. Il conto che il procuratore federale ha presentato ai protagonisti della vicenda a prima vista sembra salatissimo: 2 retrocessioni, 58 punti di penalizzazione e 490mila euro complessivamente per le società coinvolte più 10 radiazioni e 110 anni e mezzo di squalifica (di cui 11 e 3 mesi già certificate dai patteggiamenti) per i tesserati.
E’ bene ricordare, però, che si tratta solo delle richieste dell’accusa e che la storia professionale di Palazzi è quella di un magistrato che ha raramente visto confermata nel processo la sua impostazione. Spesso la montagna delle sue accuse ha partorito il topolino di sentenze miti ed dai diversi passaggi.
Il caso più clamoroso rimane il processo Calciopoli dell’estate 2006. Quello che, con un certo interesse, viene tramandato come il grande rogo nel quale bruciò il meglio del calcio italiano. Anche allora Palazzi andò giù durissimo al momento delle richieste: 6 retrocessioni in serie B o C1 di cui una (quelle della Juventus) addirittura doppia con la formula dell’assegnazione “a un campionato inferiore alla serie B”, revoca di 2 scudetti, 57 punti di penalizzazione da scontare nel campionato successivo, 20 radiazioni e condanne per complessivi 118 anni distribuiti tra dirigenti, arbitri e guardalinee. Un castello già in parte smontato dalla sentenza di primo grado: 3 retrocessioni, revoca di 2 scudetti, 132 punti di penalizzazione di cui 88 ancora da scontare e, per i tesserati, 3 sole radiazioni, 66 anni e 9 mesi di condanne e ben 7 assoluzioni. In appello la Corte Federale fece ancor meglio: una sola retrocessione, 2 scudetti revocati, 166 punti di penalizzazione (ma solo 76 da scontare) e, per i tesserati, condanne per 49 anni di squalifica oltre alle solite tre radiazioni.
L’arbitrato davanti al Coni si sarebbe poi incaricato di addolcire ancor di più il tutto cancellando la grande stangata prospettata da Palazzi. Tanto per fare un esempio – a parte la retrocessione della Juventus e la revoca dei due scudetti – le società se la cavarono con 142 punti di penalizzazione di cui solo 52 da scontare (erano 57 con 6 retrocessioni per Palazzi) e i dirigenti con poco più di un buffetto sulla guancia. C’è chi come i fratelli Della Valle, Lotito, Meani e Mencucci passò dalla richiesta di radiazione a condanne di qualche mese e chi, come Carraro, ne uscì addirittura con una multa di 80mila euro senza alcuna diffida.
Un caso unico? No, la regola nei processi della giustizia sportiva. La vicenda del calcioscommesse 2004, ad esempio, vide la Procura chiedere due retrocessioni (Modena e Siena) e penalizzazioni per lo stesso Modena (-6), Sampdoria (-6) e Chievo (-9). Finì con la salvezza per tutti, 5 punti di penalizzazione per il Modena e multe per gli altri club tranne il Chievo prosciolto. E dei tesserati, per i quali era stata presentata una sfilza di richieste a 3 anni per illecito sportivo, rimase in piedi solo la condanna all’ex giocatore del Modena Marasco. Ancor peggio andò nel 2001 con la sospetta combine in Atalanta-Pistoiese di Coppa Italia dove si passò dalla richiesta di condanne a 3 anni per illecito per nove tesserati (tra i quali Doni e Max Allegri) all’assoluzione per tutti davanti alla Corte Federale.
Giovanni Capuano
mercoledì 3 agosto 2011
L'oscar di mercato a Galliani e il Milan proiettato nel futuro
C'è un club italiano che, zitto zitto, si sta allineando ai parametri europei del fair play finanziario e rischia di essere l'unico in grado di farlo senza indebolirsi. Adriano Galliani non lo può dire ad alta voce, ma il Milan sta raccogliendo in questi mesi i frutti di una strategia che ha iniziato a delinearsi nel dopo-Calciopoli: addio alla politica della riconoscenza verso i senatori e tagli sempre più mirati al monte ingaggi. Una strategia obbligata come lo stesso Galliani ha ricordato il 20 aprile scorso nel giorno dell'approvazione del bilancio 2010, quello del profondo rosso da oltre 69 milioni di euro. “Dovremo ridurre il monte generale delle spese” ha spiegato l'amministratore delegato del Milan che al prossimo 30 giugno 2012 potrebbe presentarsi con un monte ingaggi inferiore ai 100 milioni di euro con un'incidenza per la prima volta sensibilmente inferiore alla soglia del 50% nel rapporto ricavi/stipendi che viene indicata come virtuosa dall'Uefa.
Come ci arriverà? Alla fine della prossima stagione andranno in scadenza di contratto undici giocatori. Ci sono ingaggi pesanti (Flamini 4,5, Gattuso 3,5, Nesta 3, Seedorf 2,5 e Ambrosini oltre 2 milioni di euro) e altri minori (Oddo, Yepes, Zambrotta, Inzaghi, Van Bommel e Roma). In tutto un tesoretto da 46 milioni di euro lordi spalmati su undici giocatori ultratrentenni (a parte Flamini) nessuno dei quali centrale nel progetto del Milan del futuro. Una situazione simile a quella dell'estate 2011 che ha consentito a Galliani un taglio pesante (Pirlo) e rinnovi al risparmio per oltre 25 milioni di euro. Già oggi il monte stipendi del Milan è inferiore ai 130 milioni di euro certificati nel settembre scorso. Siamo intorno ai 115 milioni di euro considerando anche l'aumento concesso a Thiago Silva e gli ingressi in rosa del mercato di riparazione. Se Galliani tra un anno gestirà i rinnovi come fatto quest'estate si garantirà un risparmio strutturale da almeno una ventina di milioni scendendo così sotto la fatidica soglia-cento che, a fronte di ricavi ragionevolmente superiori ai 253 milioni raggiunti nel 2010, porterà il Milan nel futuro.
Basta per allinearsi al fair play finanziario? Non del tutto. Servirebbero ricavi in linea con quelli delle big europee che non scendono sotto i 350 milioni di euro. Ma in Italia la legge sugli stadi non arriverà a breve e, comunque, non potrà essere favorevole come quelle in vigore altrove anche a causa di una situazione economica che rende impensabile contributi pubblici. Il Milan resterà a San Siro e per fatturare i più dovrà fare più strada possibile in Champions. Però Galliani sta facendo questa operazione senza indebolire la squadra, anzi. I colpi a parametro zero hanno liberato risorse per 'mister x' ed l'eventuale rincorsa a Balotelli avverrà solo in contemporanea all'addio a Cassano.
Senza dimenticare che nel 2014 – guarda caso l'anno in cui i vincoli del Ffp si faranno più stringenti – andranno in scadenza tutti gli altri big dai contratti pesanti: Ibrahimovic (9 mln euro), Robinho (4), Cassano (3), Taiwo (2), Pato (ad oggi 2,5), Boateng, Antonini, Abate ed Emanuelsson.
L'oscar di mercato va, dunque, a lui. La Juve, che per il secondo anno consecutivo ha sfondato la soglia dei 70 milioni di euro investiti sul mercato, e l'Inter che pezzo dopo pezzo sta smontando la squadra del Triplete, sono un passo indietro.
Giovanni Capuano
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martedì 2 agosto 2011
Dopo Agnelli ecco Garrone jr: il ripescaggio della Samp e la fine dell'autonomia sportiva
La mossa della Sampdoria di chiedere il ripescaggio in serie A in caso di condanna di una delle società deferite nel processo calcioscommesse (Chievo e, soprattutto, Atalanta) rappresenta la prima conseguenza pratica di come – dopo l’esposto-Juve su Calciopoli – i confini tra giustizia sportiva e ordinaria siano sempre più difficili da difendere. Questo blog lo aveva scritto il 15 luglio scorso (http://calcinfaccia.blogspot.com/2011/07/calciopoli5-dove-porta-il-ricatto-degli.html): accettare il ricatto degli Agnelli sulla revoca dello scudetto all’Inter avrebbe significato condannare a morte l’autonomia della giustizia calcistica.
Ora c’è la conferma che la battaglia della Juventus è destinata a diventare il parametro di riferimento per molti dirigenti del nostro calcio. Garrone jr. che non più tardi di due mesi fa invitava tutti a “pensare solo a fare bene la serie B” ha scelto un avvocato di grido per tentare la spallata.
Ufficialmente l’istanza della Samp mira solo a garantire al club blucerchiato la priorità di ripescaggio in caso di penalizzazione e retrocessione dell’Atalanta, in modo da tagliare fuori le pretese di chi nella passata stagione militava in serie B insieme ai bergamaschi. Il riferimento è ai parametri federali utilizzati in caso di mancata iscrizione di una società (classifica, tradizione sportiva, presenze medie allo stadio).
Il passaggio più interessante dell’intervista concessa dall’avvocato Bongiorno a La Gazzetta dello Sport alla vigilia dell’apertura del processo sportivo è, però, quello dedicato alla posizione del Lecce e di Corvia che il procuratore Palazzi ha deciso per il momento di stralciare in attesa di novità da Cremona. “E’ grave che si celebri un processo mancando una parte degli elementi” spiega la Bongiorno che poi affonda: “Se in autunno, a campionato in corso, emergessero circostanze a favore della Sampdoria non sapremmo che farcene”. Eccolo il punto, del resto chiarito in un altra risposta: “Il vero problema è la differenza tra i tempi del processo sportivo, necessariamente brevi, e quelli del processo penale, molto più lunghi”. Un paradosso senza soluzioni perché la proposta dell’avvocato Bongiorno, creare una corsia preferenziale per i filoni di inchiesta con ripercussioni sportive, è nella pratica inapplicabile. Pensate solo alle inchieste per mafia e ‘ndrangheta in cui, tra le carte, compaiono anche vicende relative ai passaggi di società di certi club del sud Italia.
Seguendo il filo logico della Samp non esiste, dunque, alternativa all’allargamento della serie A a 21 o 22 squadre. Impossibile ovviamente, ma sarà il caso che Abete decida di rimettere mano allo Statuto della Figc e cercare di adeguarlo ai tempi, perché a essere uscita con le ossa rotte dall’estate 2011 è proprio l’autonomia del suo ordinamento. Non ha più ragion d’essere avendo a che fare con spa in alcuni casi quotate in Borsa. Difenderla ad oltranza significa consegnarsi nelle mani del primo giudice che avallerà una richiesta danni plurimilionaria.
Giovanni Capuano
lunedì 1 agosto 2011
La Juve senza top player e i milioni buttati da Marotta
I ben informati hanno fatto il conto e sono arrivati alla conclusione che la Juventus butterà sul mercato una novantina di milioni di euro, unica tra le big italiane a competere per budget con le grandi d’Europa. Con la firma di Vucinic (costato 15 milioni di euro) il conto – a un mese esatto dalla fine del calciomercato – è salito a poco più di 72 milioni di euro e ancora mancano almeno altri tre giocatori (un difensore e due esterni offensivi). Sulla quantità, dunque, ci siamo: Pirlo, Pazienza, Ziegler (arrivati a parametro zero), Lichtsteiner (10 milioni di euro), Vidal (10,2+1,5) e Vucinic più i riscatti di Matri, Quagliarella, Motta e Pepe (in tutto 37,2 milioni di euro) messi insieme fanno certamente una bella lista della spesa. Nessuno di loro, però, è il top player che lo scorso 25 maggio Marotta e Andrea Agnelli avevano annunciato forse un po’ troppo precipitosamente. E, soprattutto, nessuno toglie il dubbio che gli uomini di mercato bianconeri si stiano muovendo come per rispondere alla logica della paura di restare a secco piuttosto che seguendo un progetto condiviso. Passi per gli svizzeri che completeranno il reparto degli esterni bassi, ma che senso ha aver acquistato Vidal (o al limite aver deciso di accollarsi l’ingaggio pesantissimo di Pirlo) per poi scoprire che uno dei due dovrà snaturarsi perché possano convivere? Ed è valsa la pena inseguire per il mondo il colpo a sensazione (Aguero, Ribery, Nani, Robben, Higuain e Pepito Rossi) senza mai fare il passo decisivo per chiudere almeno una di queste trattative? L’esperienza del Psg lo insegna; se un club non ha l’appeal di Barcellona o Real Madrid l’unico modo per convincere il cosiddetto top player é presentarsi e pagare cash senza discutere troppo sui dettagli. Aguero si poteva fare prima della Coppa America soddisfacendo le richieste dell’Atletico (40 milioni di euro). Perso. Giuseppe Rossi sarebbe venuto a Torino di corsa: bastava staccare un assegno da 30 milioni. Perso. In compenso l’acquisto di Vucinic e i riscatti di Matri e Quagliarella insieme sono costati 41 milioni di euro e hanno appesantito numericamente un settore dove già ci sono Del Piero, Amauri, Iaquinta, Toni, Krasic, Martinez e lo stesso Pepe. Con 41 milioni di euro non si poteva fare meglio? A un mese dalla fine del calciomercato la domanda è legittima. Marotta ha trenta giorni per sfoltire la rosa a colpi di minusvalenze e assicurare a Conte i tre giocatori che servono. Nemmeno Lugano, Alex, Coates, Perotti e gli altri di cui si parla oggi sono top players. Le parole del 25 maggio (“Tutti i grandi calciatori che abbiamo sondato hanno dato la propria disponibilità a trasferirsi a Torino, anche se non andremo in Champions League” aveva detto) sono evaporate nel vento di giugno e luglio. La Juve è vicina al record dei 74 milioni spesi nella passata stagione. “Quest’anno punteremo sulla qualità” ha giurato Marotta. Il mercato gli ha dato fin qui torto.
Giovanni Capuano
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