mercoledì 16 novembre 2011

La palombella nera di Balotelli


Alla fine della settimana che sancisce la piena riabilitazione di Balotelli agli occhi dell’opinione pubblica italiana, a noi piace sottolineare come la conversione a U sull’educazione e maturità del talento del City sia il miglior esempio di come funzionano le cose nel nostro calcio. Perché chi oggi fa a gara per sperticarsi le mani in applausi a SuperMario ed enfatizzare crescita, maturità e unicità di talento, fino all’altro ieri non perdeva occasione per usare le disavventure del ragazzo come sfogatoio nemmeno troppo nascosto.

Fa sorridere, insomma, leggere oggi che Balotelli è “un potenziale campione pronto ad esplodere” (Arrigo Sacchi), un giovane che “è bello avere in squadra per le sue eccezionali qualità” (Giancarlo Abete) o, ancora, registrare i rimpianti di Moratti che quel talento se l’è lasciato sfuggire violentando ogni logica tecnica e manageriale e scorrere la rassegna stampa con titoli al miele di chi, non più tardi di qualche mese fa, si interrogava sulla possibilità di recuperare Mario a una normale convivenza civile e applaudiva ai tentativi di rieducazione a suon di schiaffi di Materazzi, Mourinho e di chi con il ‘maleducato’ divideva lo spogliatoio.


Siccome la ‘parabola nera’ da somaro odiato e sbeffeggiato a campione imprescindibile ci appassiona, diamo il nostro contributo ricordando i momenti in cui il brand Balotelli non tirava. Non serve andare troppo indietro, basta posizionare la macchina del tempo (e della memoria) al marzo scorso quando per anche per Prandelli, che lo aveva appena escluso per punizione, l’ex interista era un giocatore a rischio cui spiegare che “ognuno è responsabile dei suoi comportamenti” e che “atteggiamenti del genere condizionano le prestazioni”. Giudizio isolato? Assolutamente no. Leggete il presidente federale Abete negli stessi giorni: “Ha problemi, bisogno di maturazione che deve essere una sua scelta personale”. Deve essere stato un miracolo. Sei mesi dopo (e due infortuni, quelli di Rossi e Cassano, dopo) maturazione completata e riabilitazione avviata.


O per dire lo stesso Sacchi che in estate lo definiva “il più grande talento mai visto” e chissà cosa avrebbe potuto fare “se la sua formazione fosse stata diversa a 14 anni”.  Già chissà. Indimenticabili i giudizi taglienti di Lippi: “Tutti i ct hanno i loro tormentoni… Balotelli pensi a far bene con l’Under”. Missione fallita, per l’Under e per il ct che, però, non si è mai pentito di averlo lasciato a casa e non era l’unico se il solito Abete, dopo i pareggini contro Paraguay e Nuova Zelanda, dal Sudafrica aveva trovato il tempo di pontificare che “tra chi è rimasto a casa non ci sono calciatori da primi posti del Pallone d’Oro”. Sono passati 16 mesi, nemmeno un’eternità.


Ultimo capitolo della parabola, quello più scivoloso, il Balotelli ‘negro’. Quello che prendeva fischi e buuu a Torino, Cagliari e Verona e tutti a spiegargli che aveva torto lui e non gli altri. Ci hanno provato in tanti: Buffon, Totti (“Fa della provocazione sistematica il suo biglietto da visita”), il sindaco Tosi e i presidenti di mezza serie A. Erano i tempi in cui i colleghi gli auguravano di non tornare più in uno stadio (il portiere del Chievo Sorrentino) e sui giornali si sprecavano le analisi sociologiche e c’era chi lo definiva un “figlio di questa epoca senza ideali”, un bulletto di periferia cui riservare “un Daspo e porte chiuse della nazionale finché non avrà capito”. Oggi Balotelli è il simbolo dei ‘nuovi italiani’ e l’investitura gliela ha data direttamente il capo dello Stato Napolitano. Piace e va bene così. Poco conta che sia titolare solo perché la sorte ha tolto di mezzo Rossi e Cassano. Supermario è giovane e avrà modo di farsene una ragione. Se è maturato il merito non è suo ma degli altri. Pronti – ovviamente – a scendere dal carro del vincitore alla prima occasione utile.


Giovanni Capuano

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